Gli italiani allo stremo: un terzo delle famiglie taglia sul cibo, la metà su vestiti e scarpe
Il nuovo rapporto Istat racconta un Paese in affanno: la spesa media sale solo di 17 euro al mese, ma i consumi crollano
Gli italiani stringono la cinghia. E per la prima volta da anni, il taglio non riguarda più solo il superfluo, ma arriva alla tavola. Lo racconta l’ultimo rapporto dell’Istat sui consumi del 2024, che fotografa un Paese in equilibrio precario tra rincari, salari fermi e un’inflazione che ha lasciato segni profondi.
A guardare i numeri, la spesa media mensile per famiglia sembra stabile: 2.755 euro contro i 2.738 del 2023. Ma dietro quei 17 euro in più si nasconde una realtà impietosa. Quasi un terzo delle famiglie italiane ha dovuto ridurre la spesa alimentare, scegliendo prodotti più economici, tagliando fuori carne, pesce o frutta fresca. E quasi una su due ha ridotto la spesa per abbigliamento e calzature, la voce più sacrificata del bilancio domestico.
Solo una categoria sembra resistere: quella dei pensionati, che registrano un lieve aumento del 2,3% nelle spese complessive, in parte legato al ritocco delle pensioni minime e all’indicizzazione. Ma la “stabilità” si ferma qui. Tutto il resto del Paese è costretto a rinunciare, spesso a più di qualcosa. Le famiglie con figli sono quelle che spendono di più in cibo e bevande, ma a costo di sacrificare vacanze, cultura e persino la manutenzione della casa. Al contrario, per le persone sole — in particolare gli anziani — a pesare maggiormente sono bollette, affitti e spese condominiali, che rappresentano una fetta sempre più larga del reddito mensile.
Il divario territoriale, poi, è abissale. L’Istat rileva che in Puglia la spesa media familiare è quasi la metà di quella registrata in Trentino-Alto Adige, mentre nei piccoli Comuni si spende circa il 12% in meno rispetto alle grandi aree metropolitane. Una forbice che si allarga anche in base alla nazionalità: le famiglie composte solo da italiani spendono il 31,8% in più rispetto a quelle in cui è presente almeno uno straniero.
La disuguaglianza si traduce in cifre nette: il 20% più povero della popolazione copre appena l’8,2% della spesa totale, mentre il 20% più ricco arriva al 39,8%. In pratica, quattro famiglie benestanti spendono quanto venti famiglie in difficoltà.
Un altro dato emblematico riguarda la geografia della ricchezza: le famiglie più abbienti si concentrano soprattutto nel Centro-Nord e nei Comuni più grandi, dove i redditi sono più alti ma anche i costi della vita crescono a ritmi insostenibili.
Nei racconti raccolti dall’Istat, emerge un’Italia divisa in due: chi deve scegliere tra la spesa e la benzina, e chi — pur preoccupato — continua a vivere senza grandi rinunce. L’aumento dei tassi, l’inflazione energetica e l’impennata dei mutui hanno prosciugato i risparmi accumulati durante la pandemia, lasciando molti senza margine di manovra.
Dietro la media nazionale, si nasconde dunque un Paese che non riesce più a respirare. Un Paese in cui il “taglio sul superfluo” è diventato taglio sul necessario.
E così, nelle famiglie italiane, anche la cena è diventata un esercizio di economia domestica. Meno carne, più legumi, sconti a caccia, supermercati low cost e cene fuori sempre più rare. Il carrello della spesa, per molti, è ormai il termometro della crisi. E la stabilità, quella vera, resta un miraggio.