Il ponte di Salvini e le promesse mai mantenute: quando la propaganda oscura le urgenze reali
Date che slittano, numeri gonfiati, cantieri fantasma: la grande opera ancora sulla carta è diventata il simbolo della propaganda del ministro, mentre il Sud aspetta infrastrutture vere
Promesse che si rincorrono, date che slittano, numeri gonfiati, studi contraddittori, proteste ignorate. Il ponte sullo Stretto è ormai il grande totem della propaganda salviniana. Ma il Sud chiede altro: infrastrutture vere, sicure e subito.
Il ponte sullo Stretto è l’opera pubblica più annunciata e mai realizzata della storia d’Italia. Da oltre 50 anni se ne parla, si promette, si progetta, si abbandona. Ma da quando Matteo Salvini è tornato al governo come ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, il ponte è diventato una bandiera politica, rilanciata a ogni conferenza stampa.
«Estate 2024», poi «primavera 2025», poi ancora «estate 2025». Il balletto delle date continua. L’ultima promessa è arrivata il 19 maggio: «Quest’estate partiranno i lavori di pre-canterizzazione», ha detto Salvini. Ma nessun vero cantiere è stato aperto. Né a Messina, né a Villa San Giovanni. E il sospetto ormai è fondato: il ponte serve più alla propaganda che alla mobilità.
Le promesse non mantenute
Nel 2023 Salvini aveva giurato che i cantieri veri sarebbero partiti entro l’estate 2024. Lo ripeté a marzo in TV, a maggio in conferenza stampa, e a settembre con la Società Stretto di Messina appena riattivata. Ma poi le scadenze sono slittate, una dopo l’altra. Nell’aprile 2024 parlava di «poche settimane» per aprire i cantieri. A maggio, già si parlava dell’estate 2025. Un anno intero di rinvii.
Nel frattempo ha anche rilanciato un numero non veritiero: 120 mila posti di lavoro creati dal ponte. Un dato ampiamente smentito da esperti e fact-checker: secondo le stime più realistiche, si tratta di qualche migliaio di posti, e solo per un tempo limitato.
Calabria e Sicilia: le priorità ignorate
Mentre si parla di un’opera da oltre 14 miliardi di euro, Calabria e Sicilia restano ostaggio di una realtà quotidiana fatta di strade provinciali dissestate, ferrovie a binario unico, treni lenti e fatiscenti, porti sotto utilizzati, aeroporti in crisi, autostrade pericolose.
Tra Reggio Calabria e Cosenza i treni impiegano quasi 4 ore. Per raggiungere Palermo da Messina in treno ci vogliono ancora 3 ore e mezza. I collegamenti tra aree interne e città sono scarsi o inesistenti. Senza parlare della sanità al collasso, dei giovani che emigrano, e delle scuole che cadono a pezzi.
Ma per tutto questo, non ci sono piani straordinari, né investimenti urgenti. Solo promesse lontane e poco credibili.
I rischi ambientali e sismici
Costruire un ponte lungo 3,3 chilometri su una delle aree più sismiche d’Europa, tra la faglia dello Stretto e l’Etna, non è un’opera come le altre. Il rischio di terremoti devastanti è noto e documentato. Nel 1908, un sisma di magnitudo 7.1 distrusse Messina e Reggio Calabria, causando oltre 100.000 morti.
Molti esperti ambientali e ingegneri strutturali continuano a sollevare dubbi pesanti sulla sicurezza dell’opera. I venti fortissimi, le correnti marine, la profondità del fondale, il rischio idrogeologico: sono variabili complesse, difficili da gestire anche con la tecnologia più avanzata.
In più, c’è un impatto ambientale devastante: distruzione di habitat marini e terrestri, inquinamento, cementificazione, espropri forzati, deturpazione del paesaggio. Diverse associazioni, tra cui Legambiente, Wwf, Italia Nostra, hanno chiesto una moratoria immediata sul progetto.
Eppure, il governo tira dritto. Senza un confronto vero. Senza una Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA) aggiornata e completa. Con lo stesso progetto del 2011, solo “aggiornato” con modifiche marginali.
I dubbi degli esperti
Non solo ambientalisti. Anche economisti, ingegneri, urbanisti mettono in discussione l’utilità reale dell’opera. A cosa serve un ponte ultramoderno se le strade per raggiungerlo sono impercorribili? Che senso ha un collegamento ad alta velocità se i treni regionali vanno a 60 km/h?
Il ponte, da solo, non migliora la mobilità. È un collegamento simbolico, più che funzionale. Soprattutto se non si investe prima, e seriamente, in un sistema di trasporti integrato ed efficiente.
Ma questa parte non fa notizia. E nemmeno voti.
Il Sud come palcoscenico
La sensazione è amara: Calabria e Sicilia sono diventate un palcoscenico, dove il Ponte serve più a fare show che a risolvere problemi. Ogni anno si apre un nuovo capitolo del racconto, ogni volta si rilancia una nuova data. Intanto i cittadini devono convivere con l’abbandono, la lentezza, la precarietà.
Non servono promesse su ponti futuristici. Serve una politica che investa davvero nei territori, che ascolti le priorità dei cittadini, che metta le basi per uno sviluppo sostenibile, giusto, reale.
Il Ponte è una distrazione. Una copertura. Una bandiera stanca. Finché non ci saranno ospedali funzionanti, strade sicure, scuole decenti, treni rapidi, il Ponte resterà solo un monumento all’ego politico di chi governa. E un insulto quotidiano a chi vive e lavora davvero nel Mezzogiorno.
*Con il contributo esterno di Bruno Mirante, Luca Falbo, Ernesto Mastroianni