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23/09/2025 ore 06.30
Economia e lavoro

Il Sud guadagna terreno in Borsa, ma la Calabria resta isolata: qui il costo del denaro è il doppio rispetto al Centro-Nord

Sono 30 le società meridionali quotate, con una capitalizzazione complessiva di 1,7 miliardi di euro. Il Mezzogiorno cresce (seppur a due velocità) ma resta il macigno dell’accesso al credito 

di Redazione Economia

Il Mezzogiorno si affaccia con più decisione sui mercati finanziari. Secondo l’Osservatorio IRTOP Consulting su Euronext Growth Milan (EGM) — il listino di Borsa Italiana pensato per le piccole e medie imprese ad alto potenziale — sono 30 le società meridionali quotate, con una capitalizzazione complessiva di 1,7 miliardi di euro e un fatturato aggregato di 1,8 miliardi. Numeri che segnalano una vivacità nuova, ma che non cancellano disomogeneità regionali profonde: su tutte, il caso critico della Calabria, ferma a una sola azienda quotata.

Il quadro nazionale mette il fenomeno in prospettiva. Il Nord continua a dominare: 129 società sul listino con 5,61 miliardi di capitalizzazione e 5,83 miliardi di fatturato. Il Centro conta 44 società, per 1,4 miliardi di valore e 2,38 miliardi di giro d’affari. Il Mezzogiorno resta dunque una porzione minoritaria del mercato, ma cresce con maggiore slancio e in settori strategici — tecnologia, green economy, digitalizzazione e agroalimentare di qualità — che attraggono investitori alla ricerca di nuove storie di crescita.

Campania e Sicilia in testa, Calabria all’ultimo posto

La mappa meridionale è a due velocità. La Campania guida la classifica con 15 società quotate: un ruolo da locomotiva che riflette sia la dimensione del tessuto imprenditoriale, sia una maggiore capacità di dialogare con il capitale. La Sicilia segue con 6 presenze; Abruzzo, Molise, Puglia e Sardegna portano ciascuna due aziende sul listino. La fotografia più preoccupante è però quella calabrese: una sola impresa quotata, un risultato che pesa come un metro della distanza ancora da colmare.

Gli analisti leggono i numeri come la conferma di alcuni processi in atto: le imprese meridionali stanno migliorando la capacità di attrarre capitali istituzionali, puntano con più convinzione su innovazione e internazionalizzazione e sanno valorizzare filiere locali (dalla qualità agroalimentare alle tecnologie ambientali) che trovano mercato. Inoltre, il mercato finanziario sembra aver iniziato a guardare con favore a storie di crescita capaci di combinare rendimento e impatto territoriale.

L’ostacolo del credito: il denaro più caro al Sud

Dietro al ritardo del Mezzogiorno c’è però un fattore che resta decisivo: l’accesso al credito. Per le imprese meridionali ottenere finanziamenti bancari significa affrontare condizioni più dure rispetto al resto del Paese. In Calabria, in particolare, il problema è ancora più evidente: il costo del denaro è praticamente il doppio rispetto al Centro-Nord.

Questa disparità non è solo un dettaglio tecnico: è una vera e propria palla al piede per lo sviluppo futuro, perché scoraggia nuovi investimenti, rallenta i piani di crescita delle PMI e limita le possibilità di quotazione in Borsa. In altre parole, anche le imprese più dinamiche partono con un handicap competitivo che riduce la loro capacità di crescere e competere sui mercati globali.

Il flop calabrese non nasce dunque dal nulla. Oltre ai problemi infrastrutturali, alla fuga di competenze e a un ecosistema dell’innovazione poco sviluppato, pesa come un macigno la questione del credito. Senza un riequilibrio dei costi finanziari e un maggiore sostegno a percorsi di capitalizzazione, difficilmente la regione potrà trasformare il proprio potenziale in una presenza significativa sui mercati.

Il boom di alcune PMI meridionali su EGM è un’opportunità che vale oltre il valore di mercato: significa posti di lavoro, rafforzamento di filiere e maggiore resilienza economica. Ma perché questa opportunità diventi diffusa e duratura è necessario chiudere il divario interno — e qui la Calabria è il banco di prova più urgente. Se il Sud vuole davvero contare nella nuova mappa economica italiana, non basta qualche eccellenza: servono sistemi regionali che sappiano trasformare idee e talento in imprese scalabili e appetibili per gli investitori.

Il Mezzogiorno mostra finalmente segnali incoraggianti sui mercati finanziari; la Campania e la Sicilia guidano questa fase di crescita. Ma la fotografia resta a due velocità: da un lato la vivacità di alcune aree, dall’altro il ritardo di territori come la Calabria, aggravato da un costo del denaro insostenibile. Senza un cambio di passo, il rischio è che la finanza passi per il Sud senza fermarsi dove ce ne sarebbe più bisogno.