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12/08/2025 ore 07.01
Economia e lavoro

Il turismo crolla del 25%, così la Calabria ha perso le estati “autentiche” degli anni '80 per inseguire il lusso

Resort dai costi proibitivi, politiche turistiche fallimentari e perdita di autenticità mettono in ginocchio l’economia balneare regionale. Una possibile soluzione? Il ritorno alle radici e all’anima popolare

di Gianfranco Donadio*

L’estate 2025 si sta rivelando un disastro per il turismo in Calabria, con un calo delle presenze turistiche del 25% ad agosto rispetto al 2024, secondo le stime più recenti. Dopo un luglio già critico, con flessioni tra il 15% e il 25%, il mese clou delle vacanze ha confermato una crisi senza precedenti, lasciando spiagge semideserte e l’economia locale in forte difficoltà. La Calabria, insieme ad altre regioni italiane come l’Emilia-Romagna, sta vivendo un tracollo che riflette una tendenza nazionale, ma con un’intensità particolarmente marcata. Perché un crollo così grave? Quali sono le cause reali di questa debacle? E come si è passati dalle estati autentiche e accessibili degli anni ’70, ’80 e ’90 alla frenesia consumistica e ai costi proibitivi di oggi?

I numeri di una crisi drammatica

I dati sono impietosi: ad agosto 2025, la Calabria registra un calo del 25% delle presenze turistiche, con località simbolo come Tropea, Soverato, Scalea e Diamante che appaiono insolitamente vuote, soprattutto nei giorni feriali. Stabilimenti balneari, ristoranti e bar lamentano un drastico calo di clientela, con ricadute devastanti sull’intera filiera turistica. Secondo l’Istat, i prezzi dei servizi turistici sono aumentati del 32,7% dal 2019, con ombrelloni che arrivano a costare 30 euro al giorno e pacchetti vacanza sempre più fuori portata per le famiglie italiane. Questo “caro-prezzi” ha spinto molti a optare per spiagge libere o a ridurre le vacanze a brevi soggiorni “mordi e fuggi”.

Spiagge deserte da Nord a Sud, luglio è un flop in Calabria: -25% delle presenze

Ma i costi elevati sono solo una parte del problema. La Filcams Cgil Calabria denuncia il fallimento delle politiche turistiche, evidenziando la mancata revisione del piano triennale strategico e una gestione opaca delle concessioni balneari, spesso utilizzate come strumento di clientelismo politico. A ciò si aggiunge la precarietà lavorativa nel settore, con lavoratori stagionali sfruttati o impiegati in nero, che compromette la qualità del servizio e l’immagine della regione. Intanto, si registra un cambiamento nelle preferenze dei turisti: molti scelgono destinazioni montane (+15% di arrivi nelle Alpi) o mete estere più economiche, come Grecia o Croazia.

Sorprendentemente, i primi quattro mesi del 2025 avevano mostrato un quadro opposto, con un aumento del 10,4% degli arrivi e del 10,1% delle presenze, trainati dai turisti stranieri (+45,8%). Questo rende il crollo estivo ancora più stridente, evidenziando una dipendenza eccessiva dal turismo balneare e una vulnerabilità a fluttuazioni economiche e climatiche.

Le cause reali: un modello turistico insostenibile

La crisi del turismo in Calabria e in Italia non è un fenomeno isolato, ma il risultato di un modello turistico al capolinea. Il caro-prezzi è un sintomo di una trasformazione più profonda: il turismo si è spostato verso un’offerta elitaria, con resort di lusso, stabilimenti balneari esclusivi e servizi sempre più costosi che hanno escluso la classe media, tradizionale pilastro delle vacanze estive. La mancanza di una strategia di lungo termine e una promozione turistica frammentata hanno lasciato la Calabria impreparata a competere con mete internazionali più accessibili e organizzate.

A livello nazionale, l’Italia fatica a definire la propria identità turistica: da un lato, punta su un’immagine di esclusività che aliena il turismo di massa; dall’altro, non investe abbastanza in infrastrutture, sostenibilità e valorizzazione del patrimonio culturale. In Calabria, la gestione clientelare delle risorse turistiche e la scarsa attenzione al patrimonio naturalistico e culturale oltre il mare hanno aggravato la situazione. Gli investimenti regionali, come quelli negli aeroporti o nella promozione, non sono stati supportati da un piano integrato o da politiche occupazionali etiche. La ministra del Turismo, Daniela Santanchè, ha minimizzato la crisi definendo i rapporti “allarmistici”, ma i dati e le testimonianze locali raccontano una realtà diversa.

Le estati di una volta, un ritorno alla Calabria “autentica”

Negli anni ’70, ’80 e ’90, le estati calabresi erano un’esplosione di vita, semplicità e convivialità. Località come Tropea, Capo Vaticano, Soverato, Praia a Mare e Diamante erano il cuore di un turismo popolare, accessibile a tutti. Le famiglie italiane affollavano pensioni a gestione familiare, campeggi economici o case in affitto a prezzi modici. Le spiagge erano un tripudio di colori e suoni: bambini che giocavano a racchettoni, gruppi di amici che organizzavano tornei di beach volley o falò serali, e serate trascorse nelle piazze dei paesi, tra gelati artigianali, granite al bergamotto e balli nelle discoteche all’aperto, spesso ricavate da strutture semplici come terrazze o capannoni.

Le attività turistiche erano profondamente radicate nella cultura locale. Le sagre di paese, come quella della ‘nduja a Spilinga, del pesce spada a Bagnara o della cipolla rossa a Ricadi, erano momenti di festa che univano turisti e residenti. Le tavolate erano imbandite di specialità locali: fileja con sugo di capra, soppressata, pesce fresco e vino Cirò. I pescatori offrivano gite in barca a prezzi simbolici, portando i turisti a scoprire grotte marine o a pescare con loro. La Calabria era una destinazione “autentica”, lontana dal turismo patinato, dove l’ospitalità era un valore condiviso e le relazioni umane erano al centro dell’esperienza.

La corsa agli eccessi: dalla semplicità al consumismo

Dagli anni 2000, il turismo calabrese ha intrapreso una strada diversa, segnata da una commercializzazione sfrenata. La competizione con mete estere ha spinto verso un modello di sviluppo incentrato sull’esclusività: sono sorti resort di lusso, villaggi all-inclusive e stabilimenti balneari con servizi sofisticati, come lettini con idromassaggio o cene gourmet in spiaggia. I prezzi sono schizzati alle stelle, con ombrelloni e sdraio che oggi possono costare quanto una cena in un ristorante di medio livello. Le pensioni familiari e i campeggi sono stati soppiantati da strutture standardizzate, mentre le spiagge libere sono state progressivamente erose da concessioni private.

Questa trasformazione ha avuto un costo sociale e culturale. Le comunità locali, un tempo protagoniste dell’accoglienza, sono state marginalizzate, con molti giovani costretti a lavorare in condizioni precarie per sostenere un’industria sempre più elitaria. La Calabria ha perso parte di quella sua “autenticità”, inseguendo un’immagine di lusso che non le appartiene e che fatica a competere con destinazioni come Dubai o le Maldive. Nel frattempo, i turisti italiani, stretti dalla crisi economica e dai costi elevati, hanno iniziato a scegliere mete estere o destinazioni interne più economiche, come le località montane.

Una riflessione socio-antropologica

Dal punto di vista socio-antropologico, le estati calabresi degli anni ’70-’90 erano un rito collettivo, un momento di aggregazione che rafforzava i legami sociali e culturali. Le vacanze erano un’occasione per riscoprire la lentezza, la condivisione e il rapporto con il territorio, in un contesto di semplicità. I turisti non cercavano l’ostentazione, ma l’esperienza di immergersi in una cultura viva, fatta di sapori, tradizioni e relazioni umane. Oggi, il turismo si è trasformato in una performance consumistica, dove l’esperienza è misurata in termini di status e apparenza. Le foto su Instagram e su Tiktok hanno sostituito i falò in spiaggia, e i resort di lusso hanno preso il posto delle pensioni familiari.

Questa metamorfosi riflette un cambiamento più ampio nella società contemporanea, sempre più individualista e orientata al consumo. In Calabria, ciò ha significato la perdita di un’”identità turistica” unica, che combinava mare, cultura e ospitalità. La regione potrebbe recuperare il suo appeal tornando a valorizzare le sue radici: sagre, prodotti locali, esperienze originali e un turismo sostenibile che coinvolga le comunità. Ma questo richiede una visione politica coraggiosa, capace di rompere con la logica del profitto immediato e di investire in un modello di ospitalità inclusivo.

Un futuro da riscrivere

La crisi del turismo in Calabria nell’agosto 2025, con un crollo del 25% delle presenze, è un campanello d’allarme per un modello turistico al collasso. Il caro-prezzi, la precarietà lavorativa, la mancanza di politiche efficaci e la perdita di autenticità hanno trasformato una destinazione amata in un lusso per pochi. Rispetto alle estati di una volta, la Calabria ha smarrito la sua anima popolare, ma non è troppo tardi per recuperarla. Investire in un turismo sostenibile, accessibile e radicato nel territorio è la chiave per invertire la rotta. Solo così la regione potrà riconquistare il cuore dei vacanzieri e riscrivere il suo futuro turistico.

*Documentarista