La pasta costa sempre di più, rincari record da Nord a Sud: dati in aumento in Calabria
Negli ultimi 5 anni i costi sono cresciuti del 24%. Livelli record per uno degli alimenti che non manca sulle nostre tavole
Materie prime, bollette energetiche, trasporto e distribuzione causano i rincari della pasta italiana. Ed ora si teme l’effetto dei dazi sull’export con ulteriori ritocchi ai listini. I costi crescono con effetti diversificati sul territorio nazionale. Al Sud meno che al Centro e al Nord. Oggi il prezzo medio per un chilogrammo di pasta di semola di grano duro è di 1 euro e 84 centesimi.
Livelli record per uno degli alimenti che non manca sulle tavole italiane. Rispetto al cosiddetto prezzo di vendita consigliato, stabilito dal produttore, il mercato presenta dinamiche tendenti al rialzo con differenze tra Nord e Sud. Avviene ormai dal 2021. Secondo Assoutenti negli ultimi 5 anni i prezzi sono aumentati del 24%. Le città più care sono Pescara con 2,15 euro al chilo, Ancona con 2,08 euro, Cagliari con 2,05 euro e Firenze con 2,03 euro. Roma con 1,97 euro al chilo è più costosa di Milano con 1,79 euro. La città in cui la pasta costa di meno è Palermo con 1 euro e 33 centesimi al chilo. Campania, Sicilia, Calabria e Puglia sono le regioni con i prezzi più contenuti rispetto al resto del Paese.
In Calabria è Cosenza, con 1 euro e 43 centesimi, la città in cui è l’acquisto risulta più conveniente. A Catanzaro il prezzo medio è di 1 euro e 63 centesimi, mentre a Reggio Calabria un chilogrammo di pasta costa 1 euro e 66 centesimi. «La guerra in Ucraina, la crisi delle materie prime ed il caro energia – ha detto il presidente di Assoutenti, Gabriele Melluso - hanno portato al rialzo i costi di tale prodotto simbolo del nostro Paese. E i pericoli per i consumatori non sono finiti. Una eventuale imposizione di dazi al 107% sulla pasta italiana (notizia circolata in queste ultime ore, ndr) rischia di determinare nuovi rincari anche sul nostro territorio. Le esportazioni verso gli Usa crollerebbero portando a perdite per i produttori che - ha avvertito Melluso - per recuperare i minori guadagni sul mercato Usa potrebbero rialzare i listini al dettaglio sul mercato interno, con danni economici evidenti per le famiglie italiane».
Se i prezzi aumentano si rinuncia ad acquistare. La tendenza è confermata dagli ultimi dati Istat. Nel carrello della spesa i generi alimentari ad agosto hanno registrato una flessione del 2,2% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.