Le imprenditrici donne italiane sono le più numerose in Europa, in Calabria le aziende rosa sono oltre 37mila
In Italia la platea delle partite Iva è pari al 16 per cento del totale delle occupate. Il 71 per cento delle imprese riguarda i servizi/commercio. Il report della Cgia
Il numero di donne imprenditrici presenti in Italia è il più elevato dell’Europa. Nel 2024 la platea delle partite Iva in capo alle donne presenti nel nostro Paese ha toccato la soglia di 1.621.800 unità, pari al 16 per cento del totale donne occupate in Italia. Seguono la Francia con 1.531.700 (10,8 per cento donne occupate), la Germania con 1.222.300 (6,1 per cento) e la Spagna con 1.136.000 (11,3 per cento). È un record molto importante che, comunque, non cancella il primato negativo riconducibile al nostro tasso di occupazione femminile che, sebbene negli ultimi anni sia tornato a crescere, rimane ancora il più basso in tutta l’UE.
In Italia la crescita delle imprese guidate da donne è proseguita anche nei primi 9 mesi di quest’anno: nella media dei primi 3 trimestri del 2025 lo stock è stato di 1.678.500 unità (+ 2,7 per cento rispetto allo stesso periodo del 2024). Sebbene in termini assoluti le donne imprenditrici siano meno della metà dei colleghi uomini, la variazione percentuale registrata nel 2025 è più che doppia rispetto al dato riferito all’imprenditoria maschile (+1,1 per cento) A segnalarlo è l’Ufficio studi della CGIA.
Sette donne su dieci guidano un’impresa di servizi o commerciale
Il 71 per cento delle imprese guidate da donne presenti in Italia riguarda i servizi/commercio. Al 30 settembre di quest’anno, il settore con il maggior numero di aziende capitanate da una imprenditrice è il commercio: questo comparto ne conta 288.411 attività. Seguono l’agricoltura con 186.781, gli altri servizi (quali parrucchiere, estetiste, tatuatrici, massaggiatrici, pulitintolavanderie, ecc.) con 136.173, e l’alloggio/ristorazione con 120.744
La letteratura specializzata evidenzia almeno due fattori che motivano le donne a intraprendere un percorso imprenditoriale. Il primo è strutturale ed è correlato alla condizione socio-economica: situazioni di disoccupazione, tradizioni familiari o la presenza di incentivi economici inducono a considerare l'imprenditorialità come necessità. Il secondo fattore è motivazionale e concerne ragioni intrinseche che spingono le donne ad abbracciare tale opportunità; questo aspetto sembra rispecchiare maggiormente la sensibilità femminile. Grazie all’autoimprenditorialità, le donne possono gestire con maggiore flessibilità gli impegni lavorativi insieme a quelli familiari. Inoltre, coloro che si trovano in condizioni di inattività a causa della nascita di un figlio incontrano notevoli difficoltà nel reinserirsi nel mercato del lavoro. L'autoimpiego si è affermato come uno degli strumenti più efficaci per riconquistare protagonismo nella propria vita professionale e realizzare i propri obiettivi e aspirazioni nella speranza di ottenere risultati economici gratificanti e una maggiore indipendenza.
Modelli di governance più inclusivi
L’importanza dell’imprenditoria femminile emerge anche sul piano qualitativo. Numerosi studi indicano che le imprese guidate da donne tendono ad avere modelli di governance più inclusivi, una maggiore attenzione alla sostenibilità di lungo periodo e una propensione più elevata all’innovazione organizzativa. Non si tratta di tratti “naturali”, ma del risultato di percorsi professionali spesso più complessi, che costringono le imprenditrici a sviluppare competenze trasversali e strategie adattive. In un’economia sempre più basata su servizi avanzati, economia della conoscenza e relazioni, questi fattori diventano competitivi.
C’è poi un aspetto settoriale. L’imprenditoria femminile è particolarmente presente in ambiti come sanità, istruzione, welfare, cultura e servizi alla persona, settori che stanno assumendo un peso crescente nelle economie mature. Rafforzare queste imprese significa investire in comparti ad alto valore sociale e con forti esternalità positive, spesso trascurati dalle politiche industriali tradizionali ma centrali per la coesione e la produttività complessiva.
Difficoltà di accedere al credito
Il problema non è la mancanza di iniziativa, ma l’accesso alle risorse. Le imprenditrici incontrano ostacoli sistemici: maggiori difficoltà nel credito, minore accesso al capitale di rischio, reti professionali più deboli, oltre al carico sproporzionato di lavoro di cura. Questi vincoli producono imprese mediamente più piccole e meno capitalizzate, non per limiti di capacità, ma per condizioni di partenza asimmetriche. Il risultato è una perdita di potenziale per l’intero sistema economico.
Le imprese in rosa al Sud
Se analizziamo la distribuzione geografia delle imprese guidate da donne, scorgiamo che la ripartizione con il numero più alto è il Mezzogiorno che, al 30 settembre di quest’anno, ne contava 415.242. Seguono il Nordovest con 280.121, il Centro con 245.165 e il Nordest con 209.602.
Se, invece, calcoliamo l'incidenza delle imprese femminili sul totale imprese è sempre il Sud a segnare la quota più elevata: precisamente il 24,3 per cento. In Calabria sono 37.608 le imprese guidate da donne su un totale di 156.225 (con un’incidenza del 24,1 per cento).
A livello regionale, il più alto numero di attività guidate da donne lo troviamo in Lombardia con 162.190 aziende. Seguono la Campania con 119.137 e il Lazio con 112.200. Se, infine, misuriamo l’incidenza delle imprese femminili sul totale aziende, il dato più elevato è riconducibile al Molise con il 27,7 per cento. Seguono la Basilicata con il 27,3, l’Abruzzo con il 25,9 e l’Umbria con il 25,3