«Moda italiana sotto attacco». Sburlati (Confindustria Moda): «L’invasione dei prodotti cinesi sta distruggendo il nostro mercato»
Nel primo semestre 2025 export giù del 4%, import in crescita del 6% con la Cina a +18%. Il presidente di Confindustria Moda: «Servono regole, dazi e una strategia nazionale per difendere il made in Italy»
Il mondo della moda italiana è sull’orlo di una crisi senza precedenti. E questa volta il pericolo non arriva dai mercati interni, ma da milioni di pacchi provenienti dall’altra parte del pianeta. «Il sistema tessile e moda italiana è sotto attacco», ha dichiarato senza giri di parole Luca Sburlati, presidente di Confindustria Moda, presentando la quarta edizione del Venice Sustainable Fashion Forum.
Il quadro, snocciolato dai dati, è impietoso. Nel primo semestre del 2025, l’export del settore ha registrato un calo del 4%, mentre l’import è cresciuto del 6%. E a trainare la bilancia commerciale al ribasso è la Cina, con un incremento del +18% nelle esportazioni verso l’Italia. «Ogni giorno arrivano nelle nostre case centinaia di migliaia di pacchi – spiega Sburlati – spesso provenienti da piattaforme digitali asiatiche che non pagano dazi, non passano per le dogane e, in molti casi, non versano neppure l’IVA. È una concorrenza sleale che sta minando le fondamenta del nostro sistema produttivo».
L’allarme non è nuovo, ma stavolta ha assunto i toni di un appello disperato. Il presidente di Confindustria Moda ha chiesto al governo «una norma urgente anti-penetrazione dei pacchi non dichiarati», per fermare l’assalto di prodotti a basso costo che invadono il mercato attraverso i canali dell’e-commerce. «Non possiamo più permettere che la sostenibilità resti solo uno slogan – ha proseguito – perché dietro ogni maglietta venduta a pochi euro c’è una filiera invisibile fatta di sfruttamento, evasione fiscale e distruzione ambientale».
Il settore moda, che vale oltre 100 miliardi di euro e rappresenta uno dei simboli del made in Italy, rischia di subire una lenta erosione. Negli ultimi anni, le aziende manifatturiere italiane hanno già dovuto fare i conti con l’aumento dei costi energetici, la difficoltà di reperire manodopera specializzata e la concorrenza aggressiva dei grandi colossi digitali. Ora, la sfida più insidiosa arriva dal commercio online, dove la globalizzazione ha azzerato confini e regole.
Sburlati lo dice chiaramente: «La competizione deve essere leale. Noi paghiamo tasse, contributi, stipendi regolari. Chi spedisce migliaia di pacchi da oltre confine sfruttando le pieghe del sistema doganale non gioca la stessa partita».
L’invito di Confindustria Moda è quello di guardare oltre l’emergenza e costruire una strategia di lungo periodo. «Non possiamo reagire sempre e soltanto agli shock esterni – ha aggiunto Sburlati – ma dobbiamo definire un piano strategico nazionale per la moda al 2035. Il nostro settore deve avere una visione: difendere la filiera, innovare, digitalizzare, formare nuove competenze e mantenere la produzione in Italia».
Il Venice Sustainable Fashion Forum si candida così a diventare la piattaforma dove politica e industria possano confrontarsi su un tema cruciale: come proteggere il valore del made in Italy in un mondo in cui la velocità delle consegne ha sostituito la qualità del prodotto.
Secondo gli analisti del settore, il vero problema è il vuoto normativo europeo che consente alle piattaforme internazionali di operare senza regole comuni. Ogni pacco che entra in Italia con un valore dichiarato inferiore ai 150 euro, infatti, è esente da dazio. Una soglia che milioni di venditori sfruttano sistematicamente per aggirare i controlli.
Ma dietro la denuncia di Sburlati c’è anche un messaggio più ampio: «Difendere la moda italiana non significa chiudersi, ma garantire equità. Significa tutelare chi produce qualità, lavoro, innovazione e cultura. Perché la moda non è solo business: è identità nazionale».
Un richiamo che suona come un avvertimento alla politica. Se l’Italia vuole continuare a essere il Paese dello stile e dell’artigianato d’eccellenza, dovrà iniziare a trattare il comparto non come un settore “di lusso”, ma come una colonna portante dell’economia.
Sburlati conclude con un tono amaro ma determinato: «Oggi stiamo perdendo terreno. Ma se riusciremo a proteggere le nostre imprese, investire nei giovani e ridare valore al lavoro, allora la moda italiana non sarà mai solo un ricordo. Sarà ancora un orgoglio».