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12/10/2025 ore 10.59
Economia e lavoro

Morti sul lavoro, un crimine collettivo: Operaicidio accusa un sistema che sacrifica vite umane

Il volume di Bruno Giordano e Marco Patucchi denuncia la strage silenziosa. I dati Inail: nel 2024 oltre 1.200 vittime e il 2025 non mostra segnali di miglioramento

di E. M.

In Italia si continua a morire di lavoro. Ogni giorno, in media, tre persone perdono la vita mentre cercano di guadagnarsela. È il dato più crudele e più stabile che si possa immaginare: nel 2024 i morti sul lavoro sono stati 1.202 secondo l’Inail, e nei primi otto mesi del 2025 le denunce di infortunio mortale hanno già superato quota 670. Una ferita aperta che il magistrato Bruno C. Giordano e il giornalista Marco Patucchi raccontano con lucidità e dolore in Operaicidio. Perché e per chi il lavoro uccide (Marlin, 2025).

Il titolo è un atto d’accusa. “Operaicidio” è la parola che indica un crimine collettivo, un sistema che continua a sacrificare vite umane tra cantieri, fabbriche, strade e campi agricoli. Nel loro libro, Giordano e Patucchi costruiscono un dizionario della tragedia: voci, storie e responsabilità che svelano come dietro ogni numero ci sia una persona, una famiglia, una comunità.

Gli autori smontano la retorica della “fatalità”. Non sono incidenti inevitabili, ma fallimenti annunciati: mancanza di controlli, sicurezza ridotta per risparmiare, catene di appalti incontrollabili, precarietà che indebolisce diritti e tutele. L’Italia, ricordano, ha leggi severe ma spesso inapplicate: ispettori del lavoro insufficienti, risorse per la prevenzione bloccate, processi che si trascinano per anni fino alla prescrizione.

I dati raccontano un Paese che invecchia e lavora troppo: cresce la quota delle vittime con più di 60 anni, costrette a restare attive per pensioni troppo basse. E aumentano anche i lavoratori stranieri coinvolti in incidenti gravi o mortali, spesso impiegati nei settori più rischiosi e meno protetti.

«Non possiamo più accettare che ogni giorno qualcuno muoia per portare il pane a casa», scrive Giordano. L’ex direttore dell’Ispettorato nazionale del lavoro chiede una svolta culturale e politica: più prevenzione, più formazione, più giustizia. E denuncia un linguaggio mediatico che attenua la responsabilità, come se morire sul lavoro fosse parte del prezzo da pagare per produrre.

Dietro l’allarme, Operaicidio propone anche soluzioni: rafforzare i controlli, rendere più rapidi i processi, obbligare i committenti a rispondere della sicurezza nella filiera, spendere subito i fondi Inail destinati alla prevenzione.

Non si tratta solo di norme, ma di dignità. Ogni vittima del lavoro non è una statistica: è la prova che la sicurezza non è ancora un diritto garantito. E finché questo “omicidio sociale” continuerà a ripetersi ogni giorno, l’Italia non potrà dirsi un Paese civile.