Trent’anni persi: così spopolamento, crisi economica e mancata crescita hanno relegato la Calabria ai margini
L’ultimo studio del docente universitario Francesco Aiello racconta una storia che, a dispetto delle molte dichiarazioni d’intenti e degli strumenti messi in campo per colmare il divario Nord-Sud, ha visto la regione scivolare progressivamente agli ultimi posti
«La Calabria è una regione che arretra». Non è uno slogan né una provocazione, ma il titolo – eloquente – dell’ultimo studio pubblicato da Francesco Aiello, professore ordinario di Politica economica all’Università della Calabria e fondatore del think tank indipendente OpenCalabria. L’analisi, apparsa sul portale lo scorso 4 giugno, fotografa in modo netto una realtà difficile da ignorare: trent’anni di crescita mancata, che oggi presentano il conto. Lo studio restituisce l’immagine nitida e inquietante di una regione in costante ritardo rispetto al resto del Paese. Tra il 1995 e il 2023, la Calabria non solo non è riuscita a colmare il divario economico con il Centro-Nord, ma ha visto peggiorare molti degli indicatori chiave: popolazione, produttività, valore aggiunto e PIL pro capite.
Trent’anni di dati e analisi raccontano una storia che, a dispetto delle molte dichiarazioni d’intenti e degli strumenti messi in campo per colmare il divario Nord-Sud, ha visto la Calabria scivolare progressivamente ai margini dello sviluppo nazionale. Lo studio condotto dal professore Aiello mette nero su bianco una tendenza che ha assunto ormai carattere strutturale: quella di una regione sempre più spopolata, meno produttiva e con un tessuto economico incapace di agganciarsi alle fasi di ripresa che pure hanno interessato il Paese negli ultimi decenni.

Calabria: meno 213.000 abitanti in 28 anni
Il primo e più evidente segnale di questa regressione riguarda la popolazione. Nel 1995 la Calabria contava oltre 2 milioni di residenti; nel 2023 ne restano meno di 1,85 milioni. Una perdita del 10,3%, a fronte di una crescita nazionale (+3,8%) e di un incremento ancora più deciso nel Centro-Nord (+8,1%). Anche il Mezzogiorno, nel suo complesso, perde popolazione, ma in misura minore (-3,8%). Il declino non ha conosciuto soste significative: il calo è stato costante, con una nuova accelerazione a partire dal 2014. Mentre il Centro-Nord raggiungeva il massimo storico di popolazione residente, la Calabria continuava a perdere abitanti.
Una crescita economica quasi nulla
Alla crisi demografica si somma una stagnazione economica che ha pochi paragoni nel resto d’Italia. Il valore aggiunto della Calabria – cioè la ricchezza prodotta dal sistema economico regionale – è aumentato appena dell’1,7% in quasi trent’anni (a prezzi costanti 2015), passando da 28,6 a 29 miliardi di euro. Un dato risibile se confrontato con il +21% nazionale e il +25% del Centro-Nord.
Produttività “per difetto”
Anche la produttività del lavoro, misurata come valore aggiunto per occupato, mostra una dinamica preoccupante. Nel 2023, un lavoratore calabrese produce mediamente 55.882 euro, contro i 75.071 euro del Centro-Nord e i 70.786 della media nazionale. Il divario è rimasto pressoché invariato rispetto al 1995. Ma c’è di più: l’aumento della produttività in Calabria deriva in buona parte dalla riduzione del numero degli occupati, piuttosto che da investimenti, innovazione o miglioramenti organizzativi. Si tratta, quindi, di una produttività “per difetto”, non “per merito”. Un aumento meccanico, indotto dal calo dell’input lavoro, che non si traduce in una maggiore ricchezza collettiva. Il confronto con il Centro-Nord è impietoso: lì la produttività cresce congiuntamente al valore aggiunto e all’occupazione. In Calabria, invece, aumenta perché l’occupazione crolla, segno di un’economia meno solida e più esposta agli shock.
Reddito pro capite in retromarcia
Il prodotto interno lordo pro capite rappresenta la sintesi dei fattori sopra descritti. In Calabria, nel 2023, è pari a 17.235 euro (a prezzi 2015), in crescita rispetto ai 15.435 euro del 1995 (+11,7%), ma ancora lontanissimo dai 35.629 euro del Centro-Nord. In termini relativi, il PIL pro capite calabrese è passato dal 58,5% di quello settentrionale nel 1995 al 48,4% nel 2023. Un arretramento che conferma l’ampliamento del divario territoriale.
Un dualismo che si aggrava
L’analisi di Aiello converge su un messaggio chiaro: il dualismo territoriale italiano non solo non si è ridotto, ma si è aggravato. La Calabria non ha beneficiato in modo significativo delle fasi di crescita nazionale e ha subito con maggiore intensità gli shock macroeconomici degli ultimi tre decenni. La fragilità della struttura produttiva e l’assenza di dinamiche demografiche sostenibili compromettono le prospettive future. Per Aiello è fondamentale rafforzare le politiche territoriali integrate, orientate a rafforzare capacità produttiva, coesione demografica e qualità del lavoro.