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21/10/2025 ore 10.03
Economia e lavoro

Un laureato in Calabria guadagna in media 300 euro in meno rispetto a un coetaneo del Nord, in 40mila hanno lasciato la regione in 20 anni

Il rischio di un grave declino è enorme, a favorirlo lo spopolamento e l’invecchiamento della popolazione. La Svimez prevede che entro il 2050 la nostra regione perderà quasi un quarto dei suoi abitanti

di Redazione Attualità

«In Italia si studia per emigrare». Sono parole dure ma molto chiare quelle di Luca Bianchi, direttore della Svimez. Confermano ciò che da tempo si vive sui territori e fotografano una realtà che si continua a ignorare: il Mezzogiorno, e in particolare la Calabria, sta perdendo i suoi giovani migliori, le energie chiamate a costruire il futuro, ma altrove, non nella propria terra.

I dati sono impietosi: negli ultimi vent’anni oltre 120.000 laureati hanno lasciato il Sud, con l’obiettivo di trasferirsi al Nord. Diverse migliaia sono poi emigrati all’estero.

Si tratta di una vera e propria fuga di cervelli, di talenti, di futuri professionisti, ma anche di operai e lavoratori in generale. Una fuga che impoverisce il tessuto sociale, economico e produttivo del Mezzogiorno, e della Calabria in particolare. Solo tra il 2002 e il 2022, la regione ha perso oltre 40.000 giovani under 34, di cui quasi la metà laureati.

In alcune province, come Crotone e Vibo Valentia, l’emigrazione giovanile supera il 20% della popolazione residente. Numeri altamente preoccupanti, anche perché i giovani che partono non sono i meno istruiti, ma per la grande maggioranza quelli formati: un giovane su due che lascia il Mezzogiorno è laureato, percentuale che sale al 60% tra le donne. In pratica, le università del Sud formano competenze che il mercato locale non riesce ad assorbire. Così, paradossalmente, l’istruzione è diventata una sorta di passaporto per emigrare.+ì

Per quanto riguarda le donne, in Calabria il tasso di occupazione femminile tocca appena il 32%, mentre al Nord è quasi il doppio, il 61%. Un divario insopportabile, con conseguenze sociali e demografiche pesantissime.

Altro dato allarmante riguarda i salari medi: nel Sud sono tra i più bassi d’Italia. Un laureato calabrese guadagna in media 300 euro in meno al mese rispetto a un coetaneo del Nord. Le opportunità di lavoro qualificato sono rare, mentre il lavoro stabile si trova sempre meno: oltre il 60% dei nuovi contratti è a termine o part-time.

A tutto questo si aggiunge la carenza dei servizi pubblici. I trasporti restano il punto più debole, del tutto insufficienti; la sanità è in gravi difficoltà; gli asili nido scarseggiano e le infrastrutture digitali sono ancora arretrate. Davanti a uno scenario del genere, non stupisce che tanti giovani scelgano di costruirsi un futuro altrove. Come nota il direttore della Svimez: «Nel Sud restare è diventato un atto di coraggio».

Il rischio di un grave declino della Calabria è enorme. A favorirlo sono lo spopolamento e l’invecchiamento della popolazione. La Svimez prevede che entro il 2050 la Calabria perderà quasi un quarto dei suoi abitanti. Le aree interne si stanno già svuotando: i paesi di montagna restano senza scuole, senza farmacie, con medici di famiglia a giorni alterni, negozi sempre meno numerosi, senza uffici postali e perfino senza rifornimenti di carburante.

In assenza delle nuove generazioni e senza lavoro, il tessuto sociale si disgrega. I paesi stanno diventando vere e proprie case di riposo. Tutto questo, però, sembra non interessare le istituzioni regionali, tantomeno la politica, sempre più assente o distratta.

Eppure, sottolinea Bianchi, invertire la rotta è possibile. Serve una politica industriale mirata, capace di valorizzare il sistema agroalimentare — fatto spesso di eccellenze e rarità —, di qualità e di turismo sostenibile, fino ai poli tecnologici emergenti.

La ripresa dei nostri comuni passa soprattutto da servizi pubblici efficienti, politiche per l’occupazione femminile e incentivi per favorire il ritorno dei talenti.

Investire nel Sud non può essere considerato una spesa, perché in realtà si tratta di un investimento nel futuro dell’Italia. Se il Mezzogiorno continua a perdere giovani, il Paese intero perde energia, innovazione e speranza.

Oggi, studiare — in Calabria come nel resto del Sud — significa spesso prepararsi a partire. La sfida è rovesciare questa logica: far sì che la formazione diventi finalmente il motore per restare, non il motivo per andarsene.

Il Sud può avere un futuro, ma occorre un intervento mirato e corale da parte delle istituzioni nazionali e regionali, pubbliche e private.

Occorre fare presto. Molto presto.