Vibo, i precari della giustizia in protesta: «Non ci possono mettere alla porta da un giorno all'altro»
In prima linea anche la Cgil con il segretario Luciano Contartese: «Su 12.000 lavoratori, il Governo ne vorrebbe stabilizzare 6.000. Noi chiediamo che vengano stabilizzati tutti»
C’è una grande differenza tra l’essere soggetti del lavoro e, al contrario, oggetti del lavoro, costretti così all’inazione e privati della possibilità di costruire un futuro concreto, come una gabbia di miraggi all’interno della quale sono rinchiusi migliaia di precari. La loro è una lotta per i diritti che va avanti da tempo e che oggi, più che mai, si fa sentire con forza, amplificata dalle storiche difficoltà che affliggono la regione. È questo il contesto nel quale si è svolta questa mattina, lungo Corso Umberto I, dinanzi al tribunale di Vibo, l’iniziativa di protesta dei lavoratori precari del settore Giustizia, sostenuta da Fp Cgil, Uil Pa e Usb Pi. Una mobilitazione che ha avuto come focus principale la stabilizzazione di tutti i precari e la valorizzazione del personale.
Rivendicazione e diritti
A farsi portavoce della questione è stata Francesca De Nisi, addetta all’Ufficio per il Processo: «Questa è la prima di tante iniziative legate a una vertenza che abbiamo aperto con il Ministero della Giustizia su più fronti. Uno riguarda la stabilizzazione di tutti i precari, tra cui noi del Pnrr Giustizia; l’altro, la valorizzazione del personale di ruolo. Per quanto concerne la nostra stabilizzazione — addetti all’Ufficio per il Processo, data entry e tecnici amministrativi —, ad oggi è prevista solo per la metà di noi. Eppure, sono facilmente reperibili online i dati del Ministero della Giustizia che mostrano chiaramente il contributo dei precari nello smaltimento dell’arretrato e del carico pendente nei tribunali di tutta Italia».
Una problematica occupazionale, prima ancora che sociale, che necessita di una soluzione urgente. «La stabilizzazione è fondamentale – ha continuato De Nisi -, non solo per noi lavoratori che rischiamo di essere mandati via da un giorno all’altro, ma anche perché abbiamo inventato un nuovo profilo professionale: prima non esisteva la figura dell’addetto all’Ufficio per il Processo. Lo abbiamo creato insieme a magistrati e personale dipendente».
«Non ci basta cambiare ministero»
E ancora: «Non possiamo essere messi alla porta. Un concorso non vale l’altro, e ciò che ci è stato offerto dal Ministero non ci basta. È previsto un nuovo bando per cancellieri e assistenti, in cui avremmo una preferenza, ma il nostro profilo è diverso e chiediamo che vengano riconosciute le competenze acquisite in questi anni. Crediamo nel Ministero della Giustizia, è qui che vogliamo restare». Continua a leggere su IlVibonese.it