Taglio ai contributi per radio e Tv locali: un colpo durissimo all’informazione nei territori
Senza preavviso né fondamento nella legge di bilancio sparisce il 15% dei fondi. Non è soltanto un atto grave che mette a rischio centinaia di posti di lavoro ma anche un attentato al pluralismo dell’informazione e alla sua libertà, considerata un fastidio. Un segnale politico preoccupante
Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy ha colpito nel cuore l’informazione locale. Con la pubblicazione dei primi elenchi provvisori degli aventi diritto ai contributi per radio e televisioni locali, previsti dal DPR 146/2017, è emersa una drastica riduzione dello stanziamento per il 2025: appena 111,6 milioni di euro, quasi il 15% in meno rispetto al 2024. È il livello più basso degli ultimi cinque anni. Ma a indignare non è solo l’entità del taglio: è il modo in cui è stato attuato, a metà esercizio, senza alcun preavviso né fondamento nella legge di bilancio.
Ma diciamolo chiaramente: si tratta di un atto grave, arbitrario e pericoloso, che rischia di compromettere la sopravvivenza di decine e decine di emittenti locali, anche con la perdita di centinaia di posti di lavoro in un settore vitale per la democrazia.
Non è questo ciò che prevedeva la Legge di Bilancio 2025, come denuncia Maurizio Giunco, presidente dell’Associazione Tv Locali di Confindustria Radio Tv.
In effetti è proprio così. Era previsto un taglio di circa 4 milioni di euro, ma adesso apprendiamo che si tratta di una cifra spropositata: 15 milioni di euro. Il governo quindi sta tagliando i ponti, l’energia elettrica, l’ossigeno, a tantissime emittenti libere, che fanno da sempre un servizio a favore delle comunità locali, informandole, dando loro voce, sostenendole nelle battaglie civili, rafforzando quindi il collante democratico che lega migliaia di comuni italiani all’interno di territori spesso complessi e distanti tra loro.
Una differenza abissale nel taglio, che modifica in corsa i piani di investimento e mette seriamente a rischio i posti di lavoro di tante professionalità, interrompendo così i servizi informativi essenziali per milioni di cittadini.
Ma qui andiamo ben oltre. Perché viene violato il principio della certezza del diritto, in contrasto con le indicazioni dell’Agcom e addirittura con le sentenze della Corte Costituzionale, che più volte ha riconosciuto l’importanza del pluralismo informativo anche a livello locale.
In un Paese spaccato da fratture sociali, economiche e territoriali, l’informazione locale è l’ultimo presidio di democrazia e coesione. Spegnere o indebolire queste voci, significa spegnere la voce dei territori e delle comunità locali. Significa togliere ossigeno all’Italia reale, quella che vive fuori dai riflettori delle grandi metropoli e che trova nelle radio e tv locali un riferimento insostituibile.
Questo taglio violento e inatteso è un segnale politico preoccupante: il rischio è che si consideri la libera informazione locale come un fastidio, un costo da limare, anziché un bene comune da tutelare.
Serve una presa di coscienza immediata. Serve che il Parlamento, le Regioni, i sindacati e tutti gli attori democratici del Paese si mobilitino. Il pluralismo non si difende a parole, ma con atti concreti. E il primo passo è ripristinare il fondo originario, garantendo la sostenibilità del sistema radiotelevisivo locale, la tutela dell’occupazione e la continuità del servizio di informazione locale che è a tutti gli effetti un servizio pubblico.