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26/11/2025 ore 11.48
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Abu Dhabi e Dubai, il nuovo crocevia del mondo: così le città emiratine diventano il centro silenzioso della diplomazia globale

Dalla pandemia alla guerra in Ucraina, Abu Dhabi e Dubai hanno trasformato ogni crisi in una piattaforma di influenza. Logisticamente decisive, geopoliticamente ambiziose, economicamente pronte al dopo-petrolio: ecco perché gli Emirati sono oggi un nodo chiave del sistema multipolare

di Luca Arnaù

La notizia dei colloqui riservati ospitati negli ultimi mesi negli Emirati Arabi Uniti – un tavolo informale che ha visto seduti emissari di Stati Uniti, Ucraina e Russia – non arriva come una sorpresa per chi conosce le dinamiche del Golfo. Abu Dhabi e Dubai sono diventate uno dei centri più attivi della diplomazia parallela, il luogo in cui potenze rivali accettano di incontrarsi lontano dai riflettori ufficiali. Un ruolo cresciuto negli ultimi anni e che oggi consegna agli Emirati una posizione inedita: quella di crocevia del mondo multipolare, capace di muoversi fra interessi divergenti senza perdere credibilità presso nessuno degli attori in campo.

La guerra in Ucraina ha accelerato una trasformazione già visibile durante la pandemia. Per gli Emirati, Covid e conflitto sono stati due stress test globali che hanno messo in evidenza la capacità del Paese di adattarsi alle turbolenze internazionali e di sfruttare le crepe dell’ordine mondiale per rafforzare la propria postura geopolitica. La leadership emiratina ha compreso che ogni crisi può diventare un acceleratore: di influenza, di investimenti, di prestigio politico. Così è avvenuto prima nel campo sanitario, poi sul piano diplomatico e infine nello scacchiere energetico e commerciale.

Durante la pandemia, gli Emirati si sono imposti come uno dei principali hub logistici del pianeta. L’immenso sistema infrastrutturale di Dubai – porti, aeroporti, magazzini, reti digitali – è stato messo al servizio della distribuzione globale di mascherine, dispositivi di protezione, ventilatori e poi vaccini. L’International Humanitarian City è diventata la piattaforma centrale dell’OMS per lo smistamento del materiale medico: tra 2020 e 2021, circa l’80% degli aiuti sanitari OMS è passato da qui. Parallelamente, Abu Dhabi ha sviluppato la filiera del vaccino Sinopharm, inaugurando la produzione locale del “Hayat-Vax”, primo vaccino anti-Covid realizzato nella regione MENA. Una scelta che ha consolidato la cooperazione con la Cina, cui gli Emirati sono legati da un interscambio commerciale di circa 50 miliardi di euro e da una convergenza strategica nelle tecnologie avanzate.

Ma la rilevanza degli Emirati non si misura solo in cargo e celle frigorifere. La pandemia ha fatto emergere con forza un tratto strutturale della loro politica estera: la capacità di intrecciare interessi commerciali e posizioni diplomatiche in un equilibrio calibrato, sempre in movimento. Con la guerra in Ucraina questa abilità è diventata visibile in modo ancora più netto. Gli Emirati hanno mantenuto relazioni solide sia con Washington sia con Mosca, senza allinearsi completamente a nessuno dei due campi. Hanno sostenuto le risoluzioni ONU a difesa dell’integrità territoriale ucraina, ma non hanno aderito alle sanzioni occidentali contro la Russia; hanno accolto capitali di imprenditori russi in fuga, pur garantendo canali aperti con gli Stati Uniti. Proprio questa posizione intermedia li rende oggi un terreno appetibile per tentare un dialogo che altrove è impossibile.

Il fatto che funzionari americani, russi e ucraini abbiano accettato di incontrarsi qui è un segnale politico evidente. Gli Emirati non sono più solo un hub economico: sono diventati un attore che media, compone, suggerisce percorsi di avvicinamento dove altri registrano impasse. La leadership di Mohammed bin Zayed ha investito molto nella costruzione di un’immagine di Paese affidabile, stabile, efficiente, capace di muoversi con rapidità nelle crisi globali. L’obiettivo non è astratto: gli Emirati vogliono garantirsi un futuro oltre gli idrocarburi, trasformarsi in un polo finanziario, tecnologico e industriale in grado di competere nel mondo della transizione energetica.

La diversificazione economica è infatti il secondo pilastro della loro strategia. Dubai ha accelerato sul digitale, sul turismo di lusso e sull’economia creativa; Abu Dhabi ha spinto sull’intelligenza artificiale, sulla ricerca biomedica, sull’aerospazio. Le crisi degli ultimi anni, lungi dal frenare questo percorso, lo hanno accelerato: investire in settori avanzati, gestire flussi globali e porsi come piattaforma neutrale sono attività che si rafforzano a vicenda.

L’abilità emiratina sta proprio qui: utilizzare la connettività come strumento politico, e la diplomazia come estensione della propria vocazione commerciale. Gli Emirati oggi parlano con Washington, Pechino, Mosca, Bruxelles e Tel Aviv senza suscitare diffidenze insormontabili. La normalizzazione con Israele, il rafforzamento del rapporto con la Cina, il dialogo costante con l’Occidente, la cooperazione energetica con l’Asia e l’apertura verso l’Africa orientale compongono un mosaico che non ha equivalenti nella regione MENA.

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È in questa cornice che si inseriscono i colloqui di pace ospitati da Abu Dhabi e Dubai. Non sono un episodio isolato, ma la conseguenza logica di una strategia pluriennale: se sei il luogo in cui merci, capitali, persone e tecnologie si incontrano, puoi diventare anche il luogo in cui si incontrano le diplomazie. In un sistema internazionale frammentato, chi offre neutralità, sicurezza e discrezione diventa automaticamente centrale.

Resta il nodo di come gli Emirati affronteranno il futuro prossimo, dominato da tensioni geopolitiche, concorrenza tecnologica e instabilità regionale. Ma un fatto è già chiaro: Abu Dhabi e Dubai non sono più un “ponte” tra Oriente e Occidente, come venivano descritte un tempo; sono diventate uno dei tavoli su cui l’Occidente e l’Oriente cercano di capirsi. E il fatto che qui si tenti, anche solo informalmente, di discutere di pace tra Washington, Kiev e Mosca è forse il segnale più evidente di quanto questo nuovo crocevia del mondo sia ormai indispensabile allo scacchiere internazionale.