“Adatto solo a programmi minori”: il clamoroso abbaglio del primo provino Rai di Pippo Baudo, liquidato come “cafone e volgare”
Nel 1960 la scheda di valutazione firmata da Antonello Falqui e Lino Procacci sembrava chiudere la porta al giovane conduttore. Sessant’anni dopo, quelle righe fanno sorridere
C’è un documento che oggi, a pochi giorni dalla morte di Pippo Baudo, circola sui social e colpisce più di tanti tributi ufficiali. È la scheda del suo primo provino in Rai, datato 1960, quando il giovane laureato in giurisprudenza, con la passione per la musica e lo spettacolo, bussò timidamente alla porta della televisione. All’epoca Pippo era un ragazzo di Militello, un paesino della Sicilia, con il sogno di trasformare la propria parlantina e la sua energia in una carriera sul piccolo schermo.
La valutazione degli esaminatori, due nomi di peso come Antonello Falqui, il regista di Studio Uno, e Lino Procacci, non lasciava spazio a grandi entusiasmi: «Buona presenza, buon video, discreto nel canto». Parole neutre, quasi incoraggianti. Ma subito dopo la sentenza tagliente: Baudo «parlava siciliano stretto, era cafone e volgare». E il colpo di grazia arrivò con la nota conclusiva, il famigerato “nota bene” che recita: «Può essere utilizzato per programmi minori».
Oggi fa sorridere pensare che colui che sarebbe diventato l’emblema stesso della televisione italiana venisse liquidato come “adatto a poco”. Eppure, a quei tempi, nessuno poteva immaginare che lo stesso ragazzo, nel giro di pochi anni, avrebbe conquistato i palcoscenici più prestigiosi. Meno di dieci anni dopo, infatti, Baudo si ritrovò a condurre il primo dei suoi 13 Festival di Sanremo, segnando l’inizio di una carriera che lo avrebbe portato a dominare programmi come Fantastico, Domenica In e praticamente ogni grande varietà Rai degli anni d’oro.
La parabola di Baudo dimostra che i provini non sempre raccontano la verità. O meglio: dicono qualcosa, ma non tutto. Quella parlata “troppo siciliana” sarebbe diventata il suo marchio di fabbrica, una cifra di riconoscibilità che il pubblico imparò ad amare. Quel presunto “volgare” si trasformò in spontaneità. E quel destino da “programmi minori” si ribaltò in una carriera da primissimo piano, durata oltre mezzo secolo.
Ma non fu solo la vendetta personale del giovane Baudo. Fu anche la prova che nessun giudizio iniziale può incasellare un talento destinato a esplodere. Non a caso, lo stesso Pippo ricordava spesso, con ironia, di avere commesso un errore simile. Agli inizi degli anni Ottanta, quando un giovane Fiorello si presentò a un provino, Baudo non intravide il potenziale che avrebbe poi fatto di lui uno showman unico. «L’ho scartato, lo ammetto. Ma succede: i provini non sono la verità assoluta», raccontava.
È questo il filo rosso che unisce i grandi della televisione: saper ridere anche dei propri errori. E Baudo, che era stato definito un “fantasista” con un tono quasi sprezzante nella scheda di valutazione, ha trasformato quell’etichetta in un destino. Fantasista lo è stato davvero: capace di improvvisare, di reinventarsi, di condurre senza copione, di trasformare l’imprevisto in spettacolo.
La scheda in bianco e nero, con le sue righe battute a macchina e i giudizi trancianti, oggi ha il valore di una reliquia. Non solo perché fotografa il momento fragile di un giovane aspirante conduttore, ma perché racconta la distanza siderale tra il pronostico e la realtà. Fa riflettere su quanto spesso i talenti vengano sottovalutati, su quanto la storia dello spettacolo sia piena di “no” che si trasformano in trionfi.
Se allora qualcuno lo vedeva relegato a “programmi minori”, il tempo ha dimostrato il contrario. Pippo Baudo è stato tutto tranne che minore: è stato la televisione italiana nella sua forma più popolare e più autorevole. L’uomo che ha saputo attraversare epoche, mode e generazioni restando sempre al centro. Un monumento vivente che, a distanza di decenni, ha ribaltato il giudizio dei suoi primi esaminatori e ha scritto, da solo, la sceneggiatura della sua rivincita.