Addio a Claudia Cardinale, diva ribelle e immortale: da Visconti a Leone, 150 film e una vita controcorrente
Attrice simbolo dell’italianità, musa di Visconti, Fellini e Leone, conquistò Hollywood senza mai farsi imprigionare da essa: «Sono un’europea, i ritmi americani non facevano per me»
Claudia Cardinale è morta a 87 anni, nella sua casa di Nemours, vicino a Parigi, circondata dall’affetto dei figli. L’annuncio è arrivato dalla famiglia tramite l’agenzia France Press, ed è stato subito rilanciato dai principali quotidiani francesi: Le Figaro ha aperto con “La mitica attrice italiana Claudia Cardinale è morta a 87 anni”, Libération ha titolato “Morte di Claudia Cardinale, c’era una volta in Italia”, mentre Le Monde le dedicherà la prima pagina nel numero in uscita domani. L’eco della notizia ha attraversato rapidamente i confini, perché Claudia Cardinale non è stata solo un’attrice italiana: è stata una diva internazionale, un simbolo di libertà e ribellione, un volto e una voce che hanno segnato più di sessant’anni di cinema.
Nata a Tunisi il 15 aprile 1938 da genitori siciliani – il padre di Isola delle Femmine, la madre di Trapani – portava un nome francese e maschile, Claude Joséphine Rose. Un nome che, come raccontava nella biografia Io, Claudia. Tu, Claudia, le fece a lungo rifiutare la femminilità: “Per parecchio tempo sono stata un maschio, di nome e di fatto. Ho rifiutato con violenza la mia femminilità”. Eppure, proprio da quel contrasto, da quel senso di ribellione, nacque la sua forza magnetica sullo schermo.
Il cinema entrò nella sua vita quasi per caso. Dopo una piccola apparizione a 16 anni in un film con Omar Sharif, fu un concorso di bellezza a cambiare tutto. Nel 1957 vinse il titolo di “Più bella italiana di Tunisi”, un riconoscimento che le regalò un viaggio alla Mostra del Cinema di Venezia. “Io non volevo fare film – ricordava – ma arrivai in spiaggia con il bikini, che lì ancora non si usava, e i fotografi non smisero di scattare. Sull’aereo di ritorno Epoca titolava: La ragazza che si rifiuta di fare cinema”.
Dietro quel sorriso si nascondeva però un dramma: un rapporto nato da una violenza la rese madre giovanissima di Patrick. Cardinale rifiutò di abortire e decise di accettare un contratto con la Vides – Produzioni per costruirsi un futuro diverso, lontano da Tunisi. Quella firma segnò l’inizio della carriera, ma anche di un lungo periodo di costrizioni. «Mi resi conto che lì stava tutta la mia possibile salvezza», scrisse anni dopo.
Il debutto avvenne con I soliti ignoti di Mario Monicelli (1958). «Non parlavo italiano, pensavo che tutti litigassero, urlavano sempre. In una scena finii per colpire davvero Renato Salvatori». Da lì, la sua ascesa fu vertiginosa: Il maledetto imbroglio di Pietro Germi, La viaccia di Mauro Bolognini, Cartouche accanto a Jean-Paul Belmondo, con cui strinse una profonda amicizia. Nel 1960 arrivò il primo incontro con Luchino Visconti, che l’avrebbe diretta in Rocco e i suoi fratelli. Sul set c’era anche Alain Delon: «Visconti urlava col megafono: non mi ammazzate la Cardinale!», ricordava ridendo.
Con Delon formò una delle coppie più amate, soprattutto ne Il Gattopardo. Angelica e Tancredi restano nell’immaginario collettivo come il simbolo della passione, della sensualità e dell’ambiguità di un’Italia che cambiava. Nel 1963, anno cruciale, Cardinale girò contemporaneamente Il Gattopardo con Visconti, 8 e ½ con Fellini e La ragazza di Bube di Luigi Comencini. «Visconti voleva che seguissi il copione alla lettera, Fellini mi lasciava improvvisare. Una settimana ero bionda, l’altra mora». Il risultato fu straordinario: tre film entrati nella storia del cinema.
Hollywood bussò presto. Con La Pantera Rosa (1963) di Blake Edwards arrivò la consacrazione internazionale. Visse per un periodo a Los Angeles, ospite di Paul Newman, e divenne amica di Rock Hudson, di cui coprì la vita privata fingendo una relazione. Ma Hollywood non la conquistò del tutto: «Sono un’europea, i ritmi americani non facevano per me». Decise di tornare, preferendo l’Italia e l’Europa a una carriera tutta americana.
Nel 1968 arrivò il ruolo che la consacrò mito: Jill in C’era una volta il West di Sergio Leone. La sua figura di ex prostituta che incarna la speranza e il coraggio in un mondo violento resta una delle interpretazioni più potenti del cinema western. Leone la scelse per la sua capacità di unire sensualità e forza, fragilità e determinazione. Una donna che non era semplice cornice, ma cuore pulsante della storia.
La sua vita sentimentale fu complessa. A lungo legata al produttore Franco Cristaldi, da cui ebbe un rapporto segnato da contratti “all’americana” e dal dolore di dover presentare il figlio Patrick come fratello, trovò la vera libertà nel 1974, quando incontrò Pasquale Squitieri sul set de I guappi. «Con lui la mia antica ribellione tornò viva. Ero tornata me stessa». Con Squitieri restò 27 anni, ebbe la figlia Claudia e girò sette film, tra cui Claretta.
Premiata con David di Donatello, Nastri d’Argento, il Leone d’oro alla carriera (1993) e l’Orso d’oro (2002), Claudia Cardinale ha attraversato epoche e stili diversi. Negli ultimi anni si mise a disposizione dei giovani registi, sostenendo opere prime e film indipendenti. «Mi piace aiutare i ragazzi, perché in Italia i finanziamenti scarseggiano. Se posso dare una mano, lo faccio».
Il suo lascito non è solo artistico. Cardinale ha incarnato una femminilità ribelle, refrattaria alle etichette. La sua voce roca, il suo sguardo fiero, la sua capacità di sottrarsi agli schemi maschili del cinema la rendono oggi un simbolo di emancipazione. «La cosa più importante – diceva – è saper diventare un’altra davanti alla macchina da presa, ma tornare se stessi appena le luci si spengono».
E forse proprio in quella frase sta la chiave della sua leggenda: Claudia Cardinale è stata attrice, diva, donna, madre, ribelle. Sempre se stessa, anche quando il mondo avrebbe voluto trasformarla in altro.