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19/07/2025 ore 20.03
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Alligator Alcatraz: due italiani detenuti nel carcere dell’orrore in Usa tra alligatori, pitoni e paure di rimpatrio

Uno è siciliano, l’altro italo-argentino: entrambi rinchiusi nel centro di detenzione più discusso d’America. Ecco le accuse

di Luca Arnaù

Non è un nome di fantasia, né il set di un film post-apocalittico. Alligator Alcatraz esiste davvero, nel cuore delle Everglades, in Florida. È una struttura di detenzione per migranti, costruita su un vecchio aeroporto e circondata da zanzare, pitoni, ma soprattutto alligatori: perfetta per scoraggiare evasioni e spegnere ogni speranza. Ed è qui, nel carcere più discusso d’America, che si trovano rinchiusi due cittadini italiani: Gaetano Cateno Mirabella Costa e Fernando Eduardo Artese.

Mirabella Costa, 45 anni, siciliano, è stato arrestato il 3 gennaio 2025 per detenzione di sostanze stupefacenti senza prescrizione e aggressione a un anziano. Dopo la condanna a sei mesi nel carcere della contea di Marion, ha scontato la pena ed è stato immediatamente trasferito a Alligator Alcatraz per essere rimpatriato: un viaggio che però sembra essersi bloccato tra burocrazia e paludi.

Il secondo detenuto, Fernando Eduardo Artese, ha 63 anni, doppia cittadinanza italiana e argentina, e una storia che intreccia immigrazione, famiglia e paura. Viveva alle Canarie con la moglie e la figlia, ma quasi dieci anni fa è entrato negli Stati Uniti con il passaporto italiano, usufruendo del programma di esenzione dal visto. Sarebbe dovuto restare 90 giorni. Ci è rimasto quasi un decennio.

A giugno 2025, mentre cercava di tornare in Argentina, è stato fermato e arrestato. Un vecchio mandato di comparizione per una multa per guida senza patente lo ha inchiodato. Secondo i famigliari, non si era presentato all’udienza proprio per timore di essere fermato. Ma la paura non gli ha evitato l’arresto. Dopo sei giorni sotto custodia della Border Patrol, è stato consegnato all’ICE (Immigration and Customs Enforcement) e il 3 luglio trasferito nell’inquietante struttura delle Everglades.

La Farnesina ha confermato ufficialmente la presenza dei due italiani all’interno di Alligator Alcatraz. «Il Consolato generale a Miami e l’Ambasciata a Washington stanno seguendo la vicenda con la massima attenzione – si legge in una nota – mantenendosi in contatto costante con i familiari e con le autorità statunitensi per ottenere informazioni aggiornate sulle condizioni dei connazionali e sulle tempistiche del rimpatrio».

Ma che cos’è davvero Alligator Alcatraz? A volerla, con la solita retorica da show, è stato il presidente Donald Trump, che l’ha definita «un luogo che ospiterà i migranti più pericolosi e le persone più feroci del pianeta». La struttura, capace di contenere fino a 5.000 detenuti, è tecnicamente un “centro di transito”, ma nei fatti ricorda più un carcere di massima sicurezza. Isolata, senza contatti con l’esterno, e circondata da fauna ostile, è progettata per dissuadere chiunque dall’entrare illegalmente nel Paese. E per spaventare chi c’è già dentro.

I detenuti vengono sorvegliati giorno e notte, e i trasferimenti verso i Paesi d’origine sono spesso lenti, macchinosi, soggetti a continui rinvii. Ufficialmente, nessuno dei due italiani è accusato di reati gravi a livello federale, ma entrambi si trovano in una sorta di limbo migratorio, in attesa di essere rimpatriati in Europa.

Nel frattempo, le famiglie aspettano. La moglie e la figlia di Artese vivono ancora legalmente negli Stati Uniti, ma senza il marito e padre rischiano ora anche loro di vedere revocati i propri visti. Per Mirabella Costa, invece, tutto sembra dipendere dai tempi dell’espulsione: il rimpatrio è stato firmato, ma il volo non c’è ancora. E ogni giorno passato ad Alligator Alcatraz pesa più di una condanna.

Una prigione tra i coccodrilli, nel cuore di un’America che ha trasformato l’immigrazione in uno scontro armato, fatto di leggi dure, propaganda e isolamento. Due italiani, due storie diverse, ma lo stesso destino: aspettare, in una terra dove non si può scappare e nessuno sente gridare.