Alligator Alcatraz, il lager nella palude: Trump inaugura la prigione dei migranti tra i caimani. E ride
Sulle Everglades, in Florida, nasce il carcere più disumano dell’era moderna: cinquemila migranti detenuti e circondati da alligatori. «Non è carino, ma è così» dice Trump. Applausi e orrore
Ci sarà un tempo – e arriverà, per quanto oggi sembri impossibile – in cui qualcuno sfoglierà le pagine di un manuale di storia e leggerà queste righe: «Nel 2024, negli Stati Uniti d’America, venne inaugurato un centro di detenzione per migranti circondato da alligatori. L’obiettivo dichiarato: dissuadere con il terrore». Quel qualcuno si fermerà a riflettere. E poi chiederà: «Ma davvero è successo?» Sì, è successo. E si chiama Alligator Alcatraz.
Nelle viscere delle Everglades, la regione paludosa più vasta della Florida, tra giunchi e fango, pitoni e palme, ha aperto i cancelli il carcere più disturbante e distopico dell’era moderna. Una struttura costruita in appena otto giorni dal governatore Ron DeSantis, su mandato del presidente Donald Trump, capace di contenere 5.000 migranti irregolari in attesa di espulsione. Una prigione, sì. Ma senza mura. O meglio: le mura sono vive, si muovono, hanno la pelle squamosa e le fauci spalancate. Sono centinaia di alligatori e coccodrilli, liberati nei canali che circondano l’impianto per impedire fughe.
Donald Trump ci ha messo la firma, l’ha voluta, l’ha battezzata con la sua solita retorica da bullo da saloon. Durante l’inaugurazione, non ha nemmeno finto un moto di umanità. Anzi, ha riso. Alla domanda di un giornalista che gli chiedeva se fosse vero che i detenuti in fuga sarebbero stati “dissuasi” proprio dagli alligatori, ha risposto così: «Il concetto è quello. Non è carino, ma è così. Se provano a scappare, devono sapere come si sfugge a un alligatore: mai correre in linea retta. Meglio zig zag. Le tue chance aumentano dell’un per cento». Gesto mimato con le mani. Risata. Applausi.
Nel mondo civilizzato, qualcuno rabbrividisce. Ma non a Mar-a-Lago, la reggia tropicale del tycoon, che sorge a pochi chilometri dalla nuova prigione e dove, pare, l’idea sia nata. Una provocazione diventata realtà: un lager costruito su una vecchia pista per jet dismessa, trasformata in zona di “sosta temporanea” per clandestini, ma che – come Trump ha dichiarato – “potrebbe essere più dura della vera Alcatraz”. Un luogo che costa già 450 milioni di dollari l’anno. Più che accogliere, punire. Più che legalità, paura. Più che giustizia, orrore.
Il presidente non è solo in questa crociata. A fianco a lui, in camicia stirata e ghigno severo, la segretaria per la Sicurezza nazionale Kristi Noem, che ha illustrato il vero obiettivo: «Vogliamo raddoppiare i posti letto nei centri di detenzione, portandoli a centomila. Invitiamo tutti gli Stati a seguire l’esempio della Florida. I migranti irregolari dovrebbero autoespellersi prima di essere arrestati». Avete letto bene. Autoespellersi. Magari lasciando un biglietto di ringraziamento alla polizia di frontiera.
Le reazioni? Furibonde. Ma ignorate. Le associazioni per i diritti umani parlano di “detenzione disumana e anticostituzionale”, Amnesty International ha già presentato una richiesta formale per ispezionare la struttura. Le organizzazioni ambientaliste denunciano il disastro ecologico: centinaia di alligatori “pilotati” in un’area naturale sacra per le tribù dei Miccosukee e dei Seminole, che da giorni protestano senza essere ascoltate. «Stanno profanando il nostro territorio, e anche la nostra memoria» ha dichiarato il portavoce tribale Cheyenne Osceola. «Non è una prigione. È un insulto».
Ma tutto questo, a quanto pare, fa parte del piano. DeSantis lo ha detto chiaramente: «È una misura temporanea, ma necessaria. La pressione sulle forze dell’ordine è insostenibile. Serve deterrenza». Intanto, la struttura è stata dotata di aria condizionata, container rinforzati e un sistema di videosorveglianza militare. Nulla però è stato dichiarato su psicologi, assistenza legale o condizioni sanitarie. L’obiettivo non è rieducare. È spaventare.
Le proteste intanto si moltiplicano. Decine di manifestazioni sono previste nei prossimi giorni a New York, Miami, Los Angeles. Anche alcuni esponenti democratici, come Alexandria Ocasio-Cortez e Bernie Sanders, hanno definito l’iniziativa «una pagina buia per la democrazia americana». Ma è sui social che esplode il dissenso, con l’hashtag #AlligatorAlcatraz che campeggia tra i trending topic mondiali. C’è chi pubblica meme, chi ironizza, chi invoca la Corte Suprema. E c’è chi, tra rabbia e sarcasmo, scrive: «Prima o poi toccherà a Trump correre a zig zag».
Forse è solo una provocazione. Ma è l’unica risposta possibile quando si perde ogni contatto con l’umano. Perché se il prezzo della sicurezza diventa la crudeltà legalizzata, la giustizia si trasforma in vendetta. E il confine tra civiltà e barbarie si fa sottile come un filo d’erba tra i denti di un caimano.