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13/10/2025 ore 08.55
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Caos Garlasco: avvocati in guerra, testimoni che ritrattano, complotti e colpi di scena

Il caso Poggi diventa una saga senza fine tra inchieste parallele, social impazziti e protagonisti che cambiano versione ogni settimana. Il delitto della povera Chiara sembra ormai un romanzo criminale a puntate

di Luca Arnaù

Il delitto di Chiara Poggi, a distanza di diciotto anni, è diventato un labirinto dove ogni certezza si sgretola. Un caso che doveva restare un capitolo chiuso della cronaca nera italiana, con un colpevole condannato in via definitiva — Alberto Stasi — e invece si è trasformato in una telenovela giudiziaria, con personaggi che entrano ed escono di scena come in una soap di prima serata.

C’è tutto: l’avvocato che diventa influencer, l’ex procuratore indagato per corruzione, le “gemelle del mistero” che ritornano, l’amico d’infanzia accusato e poi assolto, il complottismo che impazza sui social. Il tutto mentre la famiglia Poggi, da diciotto anni, attende ancora un punto fermo.

Tutto è ripartito da Andrea Sempio, l’amico di Marco Poggi e vecchio vicino di casa della vittima, finito al centro di una nuova indagine poi archiviata. I suoi avvocati, Angela Taccia e Massimo Lovati, hanno gestito la difesa più mediatica degli ultimi anni. Taccia, nota per il post con l’emoji della tigre — pubblicato il giorno del mancato interrogatorio del suo assistito — si era attirata addosso accuse di scarsa deontologia e persino l’attenzione dell’Ordine forense.

Lovati, invece, è diventato una star televisiva. La sua intervista-farsa con Fabrizio Corona — bicchiere in mano, linguaggio colorito e riferimenti a “Gerry la rana” — ha fatto il giro del web. Tra risatine e rivelazioni “a ruota libera”, il legale ha parlato di inchieste pilotate, complotti e coperture istituzionali, lasciando intendere che la verità sul caso Poggi sia stata “venduta e comprata”. Gli è costata una denuncia per diffamazione e un tracollo di credibilità, ma sui social è diventato virale.

Nel frattempo, sul fronte giudiziario, è esplosa la bomba Venditti. L’ex procuratore di Pavia, che aveva riaperto il caso, è accusato di corruzione. Lui si difende parlando di “calunnie offensive per una carriera impeccabile”, ma il sospetto di un’indagine manipolata per coprire qualcuno di potente aleggia da settimane.

Intorno a questo magma si muove una folla di comprimari: il generale Luciano Garofano, ex RIS e volto noto della tv, che prima difende Sempio come consulente scientifico, poi nega di aver partecipato ai sopralluoghi in casa Poggi (smentito da foto e video), infine si dimette improvvisamente parlando di “mancata condivisione della strategia difensiva”. Poche ore dopo, viene convocato dai pm di Brescia come persona informata sui fatti.

E poi le gemelle Cappa, Paola e Stefania, e il padre Ermanno. Un cognome che ricompare periodicamente nel fascicolo. Nel 2007 finirono al centro del gossip giudiziario per un fotomontaggio falso e per le voci — mai confermate — su un coinvolgimento di una di loro. Da allora, diffide su diffide, denunce, e un’informativa della Guardia di Finanza di Brescia che, senza esiti, chiedeva verifiche bancarie sui conti della famiglia.

In mezzo, le testimonianze incerte degli “amici di Garlasco”: Mattia Capra, Roberto Freddi e il frate Biasibetti, che oggi ridimensionano la loro frequentazione con Sempio. “Non era un amico stretto, non passavamo tanto tempo insieme, e nemmeno a casa Poggi ci andava così spesso”, ha dichiarato Freddi, aggiungendo una frase che pesa come un macigno: “Quello scontrino del parcheggio non è un alibi, è un indizio”.

Poi c’è Daniela Ferrari, la madre di Sempio, protagonista involontaria di un altro capitolo surreale. Davanti ai carabinieri sarebbe svenuta mentre le chiedevano dei rapporti con un misterioso pompiere di Vigevano, Antonio B. In tv è passata dall’immagine della madre disperata che difende il figlio a quella di una donna costretta a difendere se stessa. Non è indagata, ma resta una figura chiave nella trama del 2017, l’anno in cui l’inchiesta sembrò deragliare.

In tutto questo, la parte civile rappresentata dall’avvocato Gian Luigi Tizzoni, storico legale dei Poggi, continua a mantenere una posizione ferma: “Un colpevole c’è già”. Un’affermazione che per molti sa di chiusura, ma che riflette la stanchezza di chi, dopo quasi vent’anni, vede la giustizia trasformarsi in spettacolo.

E come se non bastasse, arriva anche la scienza a ribaltare le certezze: il consulente Marzio Capra, che per primo ipotizzò che il DNA “ignoto 3” trovato nella bocca di Chiara potesse essere frutto di una contaminazione da cadavere precedente in sala autoptica, all’epoca fu deriso. Ora si scopre che aveva ragione.

Intanto, sui social, la tragedia si è trasformata in un’arena di complotti. C’è chi parla di logge massoniche, di “giri di pedofilia” legati al santuario della Bozzola, di preti e frati coinvolti. Su TikTok impazzano video di sedicenti criminologi e “analisti del caso Poggi” che rielaborano le carte processuali come se fossero sceneggiature Netflix.

Resta solo una certezza: la morte di Chiara Poggi, uccisa il 13 agosto 2007, e il fatto che nessuna delle verità emerse finora è riuscita a restituire pace a quella vicenda. Tutto il resto — accuse, smentite, teorie — sembra appartenere a un mondo dove la realtà ha perso contorni e misura. Forse il vero mistero, oggi, non è chi ha ucciso Chiara, ma perché l’Italia non riesce più a smettere di parlarne.