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09/07/2025 ore 20.44
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Caso Bibbiano, la montagna partorisce un topolino: solo tre condanne e il castello dell’accusa crolla in aula

La sentenza di primo grado sul processo “Angeli e Demoni” smonta il presunto sistema di affidi illeciti. Condanne lievi e pene sospese, mentre la Procura chiedeva complessivamente 70 anni di carcere

di Luca Arnaù

Abbracci tra i banchi della difesa, lacrime trattenute e una parola che in tanti in aula non pronunciano ma pensano forte: sollievo. È questo il clima che si è respirato al momento della lettura della sentenza di primo grado per il processo “Angeli e Demoni”, noto al grande pubblico come Caso Bibbiano, uno dei casi giudiziari e mediatici più esplosivi degli ultimi anni.

Il collegio del Tribunale di Reggio Emilia, presieduto dalla giudice Sarah Iusto, ha pronunciato una sentenza che di fatto sgonfia l’impianto accusatorio: su 14 imputati, 11 assolti, molti con formula piena “perché il fatto non sussiste”. Solo tre le condanne, tutte con pena sospesa e ampiamente inferiori rispetto alle richieste della Procura, che aveva chiesto oltre 70 anni complessivi di carcere.

La figura centrale del processo, Federica Anghinolfi – ex responsabile dei servizi sociali della Val d’Enza – è stata condannata a due anni per falso ideologico in atti pubblici, in riferimento a due casi specifici di allontanamento di minori. Nessuna associazione a delinquere, nessun abuso sistematico, nessun complotto tra psicologi, politici e assistenti sociali come denunciato dall’accusa e amplificato da anni di furibonde polemiche politiche.

Il suo braccio destro, l’assistente sociale Francesco Monopoli, ha ricevuto una pena a un anno e otto mesi. Cinque mesi, infine, a Flaviana Murru, neuropsichiatra. Anche per loro, pena sospesa.

Il resto è un lungo elenco di assoluzioni. Tutti prosciolti, a vario titolo, con alcuni capi di imputazione dichiarati prescritti. Gli imputati erano accusati di reati pesanti: falso, abuso d’ufficio, violenza privata, frode processuale, persino di aver manipolato la memoria dei bambini attraverso tecniche di psicoterapia deviata per “costruire” abusi mai avvenuti. Accuse smontate, una dopo l’altra, nel corso del processo.

È una dura battuta d’arresto per la Procura di Reggio Emilia e per la pm Valentina Salvi, che aveva coordinato un’inchiesta partita nel 2018 con il clamore di un’invasione mediatica senza precedenti. L’ipotesi, oggi svanita, era quella di un sistema radicato e cinico: servizi sociali che avrebbero costruito prove false per allontanare i bambini dalle famiglie, psicoterapeuti compiacenti, operatori disposti a tutto per alimentare il business degli affidi.

Il clamore attorno al caso Bibbiano aveva valicato i confini giudiziari. È diventato bandiera politica, slogan da comizio, striscione elettorale. Oggi, alla luce della sentenza, quel clamore rischia di rivelarsi un colossale boomerang. Il processo, celebrato con rito ordinario, si è rivelato un faldone di oltre cento capi d’imputazione, molti dei quali traballanti fin dall’udienza preliminare.

L’impatto pubblico però è stato fortissimo. L’associazione ipotizzata tra politica locale, operatori sociali e medici ha creato un’onda lunga di sfiducia nel sistema di protezione dei minori, gettando un’ombra sulla professionalità di decine di operatori e sul funzionamento stesso dei servizi. Ma per i giudici, quell’associazione semplicemente non c’era.

La lettura della sentenza ha spazzato via cinque anni di sospetti e insinuazioni, almeno per la giustizia. La parola fine non è ancora definitiva – ci sarà l’appello, la Cassazione, i ricorsi –, ma la prima fotografia giudiziaria è chiara: l’inchiesta “Angeli e Demoni” si è ridimensionata fino a diventare qualcosa di molto diverso da come era stata raccontata.

Una storia che aveva fatto tremare l’intero Paese, oggi appare come un processo sbilanciato, con poche certezze e troppa enfasi iniziale. Il boato che aveva accompagnato il suo inizio si è trasformato, oggi, in un lungo silenzio. Quello delle assoluzioni.