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25/03/2025 ore 15.02
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Clooney sfida la censura e denuncia i colpi inferti alla libertà di stampa negli Usa. Trump lo insulta: «Star di serie B»

Il Premio Oscar accende il dibattito sulla libertà di espressione in un’America sempre più spaccata. Lo fa promuovendo la versione teatrale del suo film più politico, che racconta lo scontro tra giornalismo e potere. Ma il presidente americano, come da copione, reagisce con insulti e sarcasmo da talk show

di Luca Arnaù

George Clooney e Donald Trump

Quando George Clooney parla di politica, il dibattito prende fuoco. Ma stavolta l’attore — regista, produttore e premio Oscar — ha davvero colpito nel segno. In un’intervista a Sixty Minutes, storico programma della Cbs, ha denunciato un attacco crescente alla libertà di stampa negli Stati Uniti, paragonandolo a una nuova “caccia alle streghe”. E come da copione, il presidente Donald Trump ha risposto nel modo più prevedibile — e purtroppo anche più rivelatore: «È una star di serie B, un politologo fallito».

Per chi ha fatto della delegittimazione sistematica dei media un marchio di fabbrica, l’attacco era scontato. Ma il tempismo è significativo. Clooney sta per debuttare a Broadway con la trasposizione teatrale di Good night and good luck, il suo film del 2005 dedicato a Edward Murrow, il giornalista della Cbs che negli anni Cinquanta mise in ginocchio il maccartismo. Un esempio di coraggio civile, di giornalismo che non si piega, di verità detta guardando in faccia il potere. Esattamente il tipo di narrazione che oggi fa infuriare l’inquilino della Casa Bianca.

Nell’intervista, Clooney ha raccontato la genesi dello spettacolo, ma anche il contesto che lo circonda. Ha parlato dei segnali inquietanti che arrivano dai media americani: dai casi del Los Angeles Times e del Washington Post, i cui editori hanno vietato alla redazione di esprimersi sulle presidenziali, alla causa per diffamazione intentata dallo stesso presidente Trump contro la Cbs, accusata di aver “tagliato” un’intervista a Kamala Harris per favorirne la performance. Un contenzioso da 20 milioni di dollari. Il tutto mentre la Abc ha scelto di patteggiare una causa simile per evitare una lunga e costosa umiliazione pubblica.

Clooney, che ha il giornalismo nel sangue (suo padre era un noto anchorman), ha anche ricordato il suo editoriale pubblicato sul New York Times, in cui ritirava il sostegno a Joe Biden. Una mossa che, secondo molti osservatori, avrebbe contribuito in modo sostanziale al ritiro del presidente uscente. «Quello tra governo e stampa è uno scontro epocale» ha dichiarato, «e non si può più far finta che non stia accadendo».

La reazione di Trump, però, è rimasta inchiodata al suo classico repertorio: nessuna risposta nel merito, solo insulti. Clooney? Una comparsa. Un dilettante. Un fallito. E magari anche comunista, se proprio vogliamo restare fedeli allo spirito anni Cinquanta.

Ma il problema è un altro: oggi, Clooney mette in scena la lotta di Murrow contro McCarthy, mentre il vero McCarthy siede nello Studio Ovale. Ed è questa la più inquietante sovrapposizione tra realtà e teatro. In un momento in cui l'informazione libera è sotto assedio, il presidente degli Stati Uniti — quello vero, non un personaggio da fiction — preferisce ridicolizzare chi lo critica anziché rispondere nel merito.

Il pubblico, intanto, ha già scelto da che parte stare. E non è difficile capire quale dei due, tra Clooney e Trump, abbia davvero qualcosa da dire. Perché se c’è una “star di serie B” in questa storia, non è certo l’attore che denuncia la censura a testa alta. È quello che usa il potere per tappare la bocca a chi non gli piace. Spoiler: non finirà bene neanche in questa stagione.