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22/08/2025 ore 23.00
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Cocktail micidiale di alcol e coca: la falsa vita da “rockstar” dei ragazzini romani in coma etilico

Al Bambino Gesù di Roma ogni due giorni arriva un minorenne soccorso per abuso di alcolici o droghe. I medici parlano di dodicenni ubriachi e di quindicenni che sniffano con la disinvoltura di chi divide un pacchetto di patatine. In due mesi 24 ingressi, sedici per etanolo e otto per sostanze

di Luca Arnaù

Le scuole hanno chiuso i cancelli a inizio giugno e, per molti adolescenti romani, è stato come ricevere un lasciapassare per l’autodistruzione. Alcol a fiumi, canne passate di mano in mano e, per i più “coraggiosi”, linee di cocaina improvvisate nei bagni dei locali o nelle piazze della movida. Il risultato si misura nei numeri drammatici del pronto soccorso pediatrico del Bambino Gesù: ventiquattro ingressi in due mesi, uno ogni due giorni. Un flusso costante che, più delle statistiche, racconta l’emergenza di una generazione che gioca a fare la rockstar e finisce in ospedale.

A confermarlo è Sebastian Cristaldi, responsabile del pronto soccorso della sede del Gianicolo: «Molti sono poco più che bambini. In queste settimane abbiamo accolto anche dodicenni in stato soporoso per eccesso di alcol e quindicenni che avevano consumato quantità rilevanti di cocaina». Non più solo ragazzini che sperimentano un bicchiere di troppo, ma minori che si spingono a livelli da adulti consumati.

Sedici dei ventiquattro accessi riguardano abuso di alcol. Età media: dai 13 ai 16 anni. I soccorsi arrivano dalle stesse zone che da anni fanno da palcoscenico alle serate romane: Monti, Trastevere, Pigneto, Centocelle. Qui, tra locali e minimarket aperti fino a notte, i ragazzi comprano bottiglie low cost e improvvisano raduni che finiscono spesso con sirene di ambulanze e corse in ospedale.

Chi se la cava “meglio” si limita all’alcol. Chi esagera mescola vodka e rum con energy drink a base di caffeina: un mix che illude di restare lucidi mentre il corpo si avvia verso il collasso. «È la combinazione più pericolosa – spiega Cristaldi – perché maschera i segnali di allarme e spinge i ragazzi a bere ancora di più». Non stupisce che molti degli accessi più gravi arrivino proprio da chi alterna shot di superalcolici a lattine fluorescenti di bibite energetiche.

Otto i casi legati invece alle droghe. «Nel 90% dei casi parliamo di cannabis – aggiunge il pediatra – ma non mancano consumi di cocaina. Dietro spesso ci sono situazioni familiari complicate o contesti sociali fragili, vicini a piazze di spaccio note».

Per chi lavora ogni giorno tra barelle e flebo, la domanda è sempre la stessa: come fermare questo stillicidio? Cristaldi indica una strada che non passa solo per repressione e controlli, ma per prevenzione ed educazione. «La scuola deve tornare a essere presidio formativo anche su questi temi. Non basta dire ai ragazzi di non bere: bisogna insegnare loro cosa accade al fegato, al cervello, al cuore».

Gli effetti sul lungo periodo, infatti, non lasciano scampo: metabolismo glicemico alterato con rischio di diabete e obesità, danno epatico che si cronicizza, malattie cardiovascolari in agguato. E, soprattutto, la compromissione neurologica: «Le cellule del cervello non si ricostituiscono», ricorda il medico. Una frase che pesa più di qualsiasi campagna moralistica.

Intanto la città continua a registrare episodi che confermano la deriva. Ragazzi soccorsi nelle strade della movida, minori che crollano alle feste in villa, genitori all’oscuro di quello che succede a pochi passi da casa. Un’intera generazione che si crede immune, pronta a filmarsi e postare tutto sui social, come se ubriacarsi fino allo svenimento fosse una medaglia da esibire.

È l’immagine stonata di un’estate romana dove i più giovani giocano a imitare modelli tossici e finiscono intubati nei reparti pediatrici. Finti “rocker” che invece di cantare finiscono per cantarsela in terapia intensiva.