Sezioni
Edizioni locali
07/05/2025 ore 17.46
Italia Mondo

Conclave a tavola: cardinali, principesse e cene segrete nei palazzi della vecchia Roma

Nel cuore della città papalina, la nobiltà vaticana rispolvera il latino, prepara cammei e sonda porpore: la corsa al soglio passa anche da qui

di Luca Arnaù

Se è vero che lo Spirito Santo soffia dove vuole, in questi giorni sembra prediligere i salotti affrescati della Roma nobiliare, più che le sacre mura della Cappella Sistina. Tra i velluti consumati del Circolo della Caccia, i lampadari boemi di Palazzo Borghese, le cene riservatissime nei palazzi che si affacciano su Piazza di Spagna e Trinità dei Monti, si muove in silenzio un’altra liturgia: quella della diplomazia mondana, dell’arte dell’influenza, dei colloqui a bassa voce con chi – ufficialmente o no – avrà un ruolo nella scelta del prossimo Papa.

C’è chi la chiama “la Roma che conta” e chi preferisce definirla “la Roma che resta”. È fatta di famiglie nobiliari, principi, ex ambasciatori e mecenati che conoscono almeno un cardinale per nome, parlano latino meglio dell’italiano e vantano almeno un pontefice nel proprio albero genealogico. Non siedono nei banchi della Sistina, ma pesano. E quando arriva un conclave, si rimettono in moto.

La scena madre di questi giorni si svolge nel palazzo della principessa Gloria von Thurn und Taxis, erede tedesca con sangue imperiale e passato punk, oggi fervente cattolica tradizionalista, già ombra discreta di Benedetto XVI, alle cui messe private partecipava con il velo nero e il messale in latino. Il Times l’ha descritta come «ambasciatrice spirituale del fronte conservatore», e in effetti le sue cene sono più simili a consessi diplomatici che a semplici raduni d’élite. Si discute, si insinua, si ragiona su scenari e porpore, mentre lo champagne scorre nei flûte di cristallo Saint-Louis.

Gloria non è sola. Con lei si muovono vecchi alleati del pontificato ratzingeriano: dal cardinale Gerhard Müller, suo grande confidente, all’irriducibile Raymond Burke, anima reazionaria americana. Tutti si danno appuntamento, tra un ricevimento e una liturgia in latino, per riprendersi una Chiesa che – a loro dire – ha perso il baricentro.

A due passi, sempre nella Roma bene che ancora chiama “Prelato” il parroco e distingue con precisione un Monsignore da un Arcivescovo, i principi romani si riuniscono nel più esclusivo dei club, il Circolo della Caccia, al piano nobile di Palazzo Borghese. Il nome è fuorviante: qui non si cacciano volpi, ma consensi cardinalizi. Il principe Stefano Pignatelli di Cerchiara, discendente diretto di papa Innocenzo XII, lo dice chiaramente: «Queste due settimane di preconclave sono state molto intense. Non solo la principessa Gloria ha ospitato i cardinali. Al Circolo, i soci – molti con un Papa in famiglia – hanno organizzato cene di altissimo livello». Tradizione, ma anche strategia.

Chi conosce i meccanismi vaticani sa che intorno alla Sistina si muove un conclave parallelo, informale, apparentemente mondano ma tremendamente efficace. Le cene diventano sondaggi, i salotti si trasformano in stanze del potere, il pettegolezzo nobiliare si fa notizia da tenere in tasca per il prossimo incontro con l’eminenza straniera di turno. A volte, è tutto lì che comincia: un nome sussurrato tra un sorbetto e un sigaro, un aneddoto messo in circolo che può distruggere una candidatura, una frase latina ben recitata che guadagna un’alleanza.

Intanto i cardinali anglofoni si riuniscono nei salotti delle ambasciate d’Oltretevere, quelli africani nel convento dei Missionari d’Africa, i tedeschi nei vasti appartamenti della diocesi di Monaco di Baviera, su viale delle Medaglie d’Oro. Ognuno con la propria lingua madre, i propri referenti, il proprio peso.

L’unico gruppo che pare smarrito è quello italiano, pur composto da ben 19 cardinali. Non fanno fronte comune, si dividono in sottogruppi, si incontrano in piccoli numeri, a volte persino in case religiose lontane dal Vaticano. «Ci vediamo in quattro o cinque, magari con qualche cardinale ultraottantenne che non voterà ma ha memoria lunga e sa cosa dire», confida un porporato.

Ma è nei giorni immediatamente precedenti alla fumata bianca che la nobiltà ecclesiastica e civile si unisce in un’ultima danza. Da Palazzo Taverna a Palazzo Odescalchi, da Villa Giustiniani a Casa Visconti, si moltiplicano inviti riservati, cene intime, serate “con lista chiusa”. Nulla si dice, tutto si intuisce. A qualcuno basta un sopracciglio alzato, a un altro un brindisi trattenuto per capire da che parte spirerà il vento.

Perché, al netto delle riunioni formali e delle congregazioni generali, è Roma a decidere. Non solo la Roma dei cardinali, ma anche quella degli argenti di famiglia, dei servitori in guanti bianchi, dei cognomi che finiscono per “dei Principi” e dei salotti dove, a volte, il destino di un conclave si gioca tra un bicchiere di Sassicaia e un riferimento a San Tommaso.

Così la storia d’Italia e della Chiesa si è sempre intrecciata anche fuori dal Vaticano, nei salotti romani dove si parlava con Dio ma anche con i principi. E oggi come allora, tra una fetta di crostata e una messa in latino, la corsa al papato continua.