Dalla sabbia al silicio: l’Arabia Saudita e la nuova rivoluzione del Golfo. Anche l’Italia interessata
Dal petrolio ai megaprogetti futuristici: come la trasformazione economica e culturale del Golfo sta ridisegnando gli equilibri globali e aprendo nuove opportunità per il Belpaese
Fino a pochi anni fa, l’Arabia Saudita era considerata uno dei paesi più chiusi e conservatori del mondo: una monarchia assoluta religiosa, priva di forme di partecipazione politica reale, legata a un’economia totalmente dipendente dal petrolio. Le donne non potevano guidare, il cinema era bandito, l’ingresso per i turisti era rigidamente controllato, e ogni forma di cultura occidentale era relegata a circuiti diplomatici o clandestini.
Poi, quasi all’improvviso, è arrivata una scossa. Il suo nome è Mohammed bin Salman, spesso abbreviato come MbS. Giovane, ambizioso, controverso, il principe ereditario, di fatto l’uomo più potente del Regno, ha avviato un gigantesco piano di trasformazione: Vision 2030. E l’Arabia Saudita non è più la stessa.
Il cuore del piano è chiaro: diversificare l’economia saudita per renderla indipendente dagli idrocarburi e proiettarla nel futuro digitale, tecnologico e sostenibile. Un obiettivo ambizioso che si traduce in investimenti miliardari, megaprogetti urbani, attrazione di talenti globali, e alleanze strategiche con le grandi potenze industriali del mondo.
Tra i simboli di questa metamorfosi c’è Neom, una città futuristica in costruzione lungo il Mar Rosso, dove l’intelligenza artificiale gestirà i servizi urbani, i trasporti saranno a guida autonoma, e l’energia sarà interamente rinnovabile. Neom è molto più di una città: è una vetrina, un manifesto, una dichiarazione d’intenti. È lì che l’Arabia Saudita sta “fermando il deserto”, domandolo con tecnologia e architettura avanzata.
Ma Neom è solo la punta dell’iceberg. Riyadh sta diventando un hub finanziario e logistico di scala regionale, mentre i settori della cultura, dell’intrattenimento, del turismo e della sanità sono oggetto di riforme senza precedenti. Il cinema è tornato, le donne guidano, e i visti turistici vengono rilasciati con una facilità impensabile fino a pochi anni fa. Persino i concerti pop e gli eventi sportivi internazionali, come la Formula 1, il calcio e la boxe, sono diventati parte della nuova diplomazia soft saudita.
Non è solo l’Arabia Saudita. Anche Emirati Arabi Uniti, Qatar e in parte Oman e Bahrain stanno compiendo un salto economico e geopolitico. Questi paesi non sono più soltanto “benzinai del mondo”, ma veri e propri bancomat globali: grazie agli enormi fondi sovrani alimentati dal petrolio (oggi gestiti con visione strategica), stanno investendo in tutto il mondo, dalle start-up tech della Silicon Valley alle squadre di calcio europee, dalle università ai porti commerciali.
I fondi sauditi e emiratini partecipano oggi a operazioni da miliardi di dollari nel settore delle rinnovabili, della difesa, delle comunicazioni, della mobilità sostenibile. Il Public Investment Fund saudita ha superato i 700 miliardi di dollari di asset, con l’obiettivo dichiarato di arrivare a 2.000 miliardi entro il 2030. È uno degli investitori più liquidi e influenti del mondo.
In parallelo, la competizione tra le monarchie del Golfo sta dando vita a una corsa alla modernizzazione che accelera le riforme. Chi attira più imprese? Chi ospita più eventi? Chi ha la città più smart o l’aeroporto più innovativo? È una gara, ma anche una leva di sviluppo reale.
In questo scenario, l’Italia e l’Europa non possono restare a guardare. E in parte, già si stanno muovendo. I rapporti economici tra Roma e Riad, ma anche tra Roma e Abu Dhabi o Doha, si sono intensificati negli ultimi anni. Aziende italiane come Eni, Leonardo, Salini Impregilo (Webuild), ma anche realtà più piccole nei settori del design, della moda, della meccanica di precisione e dell’ingegneria, sono già presenti nei cantieri del nuovo Golfo.
Nel cuore del mondo arabo si sta costruendo il futuro. E l’Italia non può più restare a guardareMa le possibilità sono molto più ampie. L’Italia può esportare competenze nella formazione, nella sanità, nella cultura, nella rigenerazione urbana, nella sostenibilità ambientale, proprio i settori che i paesi del Golfo stanno cercando di sviluppare. E può anche attirare investimenti, a patto di offrire stabilità, visione e progetti credibili.
C’è poi un altro aspetto fondamentale: i giovani italiani. Professionisti, tecnici, architetti, ricercatori, manager, ma anche medici e infermieri, chef, operatori culturali: sempre più persone scelgono il Golfo per lavorare, attratti da stipendi elevati, opportunità di carriera e contesti dinamici. A fronte di un’Italia che fatica a trattenere i suoi talenti, i paesi arabi diventano la nuova frontiera dell’emigrazione qualificata. E non sono pochi quelli che, una volta stabiliti, diventano ponti economici e culturali tra i due mondi.
Tuttavia, non tutto è semplice. La modernizzazione saudita procede con rapidità, ma non è una democratizzazione. Le libertà civili restano limitate, anche perché bisogna procedere con calma per evitare che gli ambienti più conservatori possano reagire e creare problemi seri.
In Arabia Saudita una partita a scacchi da un trilione di dollari. In primo piano AI, armi e superpotenze digitaliMa il realismo geopolitico spinge sempre più governi a dialogare con Riad, visti i suoi asset strategici: posizione geografica, capacità di investimento, influenza energetica, leadership religiosa. L’Europa, se vorrà contare, dovrà coniugare principi e interessi, diritti e diplomazia economica.
C’è chi dice che quella in corso sia la “seconda rivoluzione araba”: non più quella fallita delle Primavere del 2011, ma una rivoluzione dall’alto, finanziata, ipertecnologica, orientata al futuro. Una rivoluzione silenziosa, ma potenzialmente irreversibile.
Dalla sabbia al silicio, dalla Mecca al metaverso, l’Arabia Saudita e i suoi vicini stanno cambiando pelle. E con loro, anche l’idea di Medio Oriente. Per l’Italia e l’Europa è il momento di capire, connettersi, partecipare. Perché chi oggi investe nel Golfo, domani potrebbe ritrovarsi al centro del mondo.