De Niro a Roma tra onori e politica: «L’America ne ha abbastanza di Trump». E poi: «Questa città è un’opera d’arte vivente»
L’attore ottantaduenne, cittadino italiano dal 2006, riceve la massima onorificenza del Campidoglio e apre in via Veneto il primo Nobu Hotel & Restaurant d’Italia. Festeggia anche la vittoria del giovane sindaco di New York, simbolo del cambiamento che «può finalmente liberare gli americani dal tycoon»
Robert De Niro torna a Roma e si divide tra passato e futuro, memoria e militanza, arte e affari. L’attore due volte premio Oscar, simbolo del cinema americano e volto di un impegno politico mai rinnegato, arriva nella Capitale per celebrare due vittorie: quella del nuovo sindaco di New York, Zohran Mamdani, 34 anni, progressista e anti-Trump, e quella imprenditoriale del suo primo Nobu Hotel & Restaurant italiano, inaugurato in via Veneto, il cuore nobile della Dolce Vita.
Per De Niro, che da anni rappresenta una delle voci più dure contro Donald Trump, il successo del giovane Mamdani è «un segnale forte, un passo avanti verso un’America più giusta e consapevole». Seduto in platea al cinema Fiamma, ospite di “Alice nella Città”, parla con il tono appassionato di chi ancora crede nella politica come gesto morale. «È un cambiamento molto importante – dice –. Per anni abbiamo solo sperato: sperato che qualcuno riuscisse a fermare Trump, sperato che la ragione potesse prevalere. Ma non basta più sperare: è un problema da risolvere. Ora vedo che la gente lo ha capito. L’opposizione a lui, a ciò che rappresenta, a come ha deformato il nostro Paese, cresce ogni giorno. L’America ne ha abbastanza. È tempo di scrollarcelo di dosso».
L’attore non risparmia parole dure: «Trump ha trasformato la politica in un circo, ha ridicolizzato le istituzioni, ha avvelenato l’anima americana. È come dire: fate le cose peggiori che potete, e poi fermatemi se ci riuscite. Ma quello non è il nostro Paese». Una presa di posizione netta, come sempre, che ribadisce anche parlando di Mamdani: «Ha l’energia giusta, è giovane, crede nella giustizia sociale, parla alle persone. Dice: “Vieni con noi, siamo pronti”. E questa è la forza di cui abbiamo bisogno per andare avanti».
Il viaggio romano di De Niro comincia dal Campidoglio, dove riceve la Lupa Capitolina dalle mani del sindaco Roberto Gualtieri, in una cerimonia a porte chiuse per rispetto del lutto cittadino proclamato dopo la morte dell’operaio Octav Stroici. «Roma è più di una città, è un’opera d’arte vivente – ha detto l’attore –. Ogni strada, ogni pietra, ogni pasto racconta una storia. Essere riconosciuto qui, in un luogo che ha dato così tanto al mondo, è davvero commovente».
Octav, l’ultimo respiro tra le pietre di Roma: la vita spezzata dell’operaio che sognava un futuro in ItaliaCittadino italiano dal 2006, De Niro ha voluto dedicare il riconoscimento «alla famiglia e a chi ama l’Italia». «La mia famiglia ha radici in questo Paese – ha spiegato – e per me questo premio ha un significato speciale. Ho sempre sentito una connessione profonda con l’Italia, con la sua gente, la sua passione, il suo rispetto per la creatività. Accolgo questo premio con immensa gratitudine, non solo per me stesso ma per tutti coloro che continuano a lasciarsi ispirare dallo spirito di Roma».
Nel colloquio privato con Gualtieri, De Niro ha ricordato la stagione della Hollywood sul Tevere e il legame con Sergio Leone, con cui girò il capolavoro C’era una volta in America. «Il primo giorno di riprese fu qui, a Roma – racconta –. Lavorammo per un anno intero. Ricordo Sergio che cercava per settimane un’inquadratura perfetta per rappresentare l’ingresso nella città. Alla fine scelse quella della metropolitana con i graffiti: oggi è un’immagine simbolo. Roma è una città italiana, ma anche universale, un luogo dove il cinema ha sempre trovato casa».
Proprio domani, il film verrà celebrato al Cinema Moderno, nella versione restaurata in 4K, durante un evento curato dall’assessore Alessandro Onorato. De Niro parteciperà alla proiezione, raccontando come accettò la parte di Noodles. «Arnold Milchand, il produttore, continuava a insistere. Io volevo leggere il libro da cui era tratta la storia. Quando lo feci, mi accorsi di averlo già letto da ragazzo. Mi colpì la verità di quel mondo: la comunità ebraica di New York, il Lower East Side, i gangster. Sergio aveva preso quel materiale e lo aveva trasformato, reso poetico. Alla fine ho detto: sì, lo faccio. È stata una delle decisioni migliori della mia vita».
Ma accanto al cinema c’è anche l’imprenditoria. In via Veneto, De Niro inaugura il Nobu Hotel & Restaurant, primo in Italia, realizzato con i soci Nobu Matsuhisa e Meir Teper. Un edificio elegante di 117 camere, firmato dallo studio Rockwell Group: pietra, legni chiari, luce naturale, un’estetica zen nel cuore di Roma. L’apertura è celebrata dal Kagami Biraki, la rottura rituale del coperchio di una botte di sakè, simbolo di buon auspicio.
Per De Niro non è solo business, ma un modo per restituire qualcosa a una città che sente come casa. «Roma è cinema, è arte, è vita – dice –. Quando cammino in via Veneto penso a Fellini, a La Dolce Vita, al sogno che questa città ha regalato al mondo. Ogni ritorno qui è come tornare alle origini».
L’attore, che ha attraversato mezzo secolo di cinema e ha incarnato ogni volto dell’America – dal giovane ribelle di Taxi Driver al gangster malinconico di C’era una volta in America – a Roma appare sereno, ironico, ma sempre combattivo. «Non mi stanco mai di parlare di politica – conclude –. Un artista non può chiudersi nel silenzio. Dobbiamo reagire, dire quello che pensiamo, combattere con le parole. Perché, come il cinema, anche la democrazia è un atto di immaginazione».