Delitto di Garlasco, i misteri mai risolti e le domande non fatte: dai suicidi ai dettagli ignorati sulla scena del crimine
Dalla busta con mutandine sporche abbandonata sul divano alle piste investigative mai battute, fino agli intrecci opachi tra figure chiave del paese: l’omicidio di Chiara Poggi è solo la punta di un iceberg che le indagini non hanno mai davvero portato in superficie
di Luca Arnaù
Ci sono casi di cronaca che vanno oltre la mera ricostruzione dei fatti, perché intrecciano una fitta rete di dettagli, contesti e personaggi che spesso restano nell’ombra. Il delitto di Garlasco, con l’assassinio di Chiara Poggi il 13 agosto 2007, è uno di questi. Dopo 17 anni e una condanna definitiva per Alberto Stasi, ex fidanzato della vittima, emergono ancora elementi rimasti fuori dalla narrazione dominante. Non solo la cronaca giudiziaria del processo a Stasi, ma un intero ecosistema fatto di storie minori, ombre sul contesto locale e interrogativi rimasti senza risposta.
Per comprendere le dinamiche sommerse di Garlasco, bisogna partire dal Santuario della Madonna della Bozzola, che non è solo un luogo di culto, ma un polo sociale e religioso centrale nella vita del paese. Dal 1990 il santuario è affidato a un prete che, nel 2003, dà vita a una comunità per il recupero di ragazzi con problemi di tossicodipendenza e fragilità psicologiche. Ma il suo nome entra nelle cronache giudiziarie tra il 2014 e il 2015, quando viene ricattato da un cittadino romeno.
L’uomo sostiene di avere filmato il sacerdote in atteggiamenti compromettenti con un altro uomo e chiede una somma di denaro per non divulgare il materiale. Il prete si rivolge ai carabinieri ma, secondo quanto emerge dagli atti, il maresciallo allora in servizio si limita ad ammonire verbalmente l’estorsore senza procedere formalmente. Il religioso, sotto pressione, cede al ricatto e consegna al romeno una cifra ingente: circa 150mila euro. A mediare tra le parti intervengono l’allora sindaco di Garlasco e un avvocato di Vigevano, che non risulteranno mai indagati. Il sindaco si spinge oltre: apre una partita Iva al romeno per permettergli di lavorare nel settore edile e appianare la situazione. La storia, ormai fuori controllo, arriva fino al Vaticano e sfocia nell’arresto dell’estorsore.
Il nome dell’avvocato che si era adoperato per “sistemare” la vicenda tornerà alla ribalta quando, anni dopo, diventerà difensore di Andrea Sempio, amico del fratello di Chiara Poggi. È il 2016 quando il nome di Sempio entra nel caso, dopo che una consulenza della difesa Stasi individua il suo Dna sotto le unghie di Chiara. La Procura archivierà l’indagine a carico di Sempio ritenendo la traccia genetica inutilizzabile. Ma c’è un episodio che aggiunge mistero. Il 5 febbraio 2017, Sempio riceve una telefonata da un numero intestato a una donna che, anni dopo, diventerà praticante nello studio dell’avvocato che lo assisteva.
L’uomo al telefono, mai identificato, chiede solo se “tutto vada bene”. La chiamata dura appena cinquanta secondi e non avrà seguito, ma a renderla più enigmatica è il fatto che la donna intestataria del numero è la stessa che, qualche anno prima, compare negli atti di un’altra vicenda legata al maresciallo dei carabinieri di Garlasco.
Il comandante della stazione locale, già finito sotto accusa per la gestione delle indagini sull’omicidio Poggi – tra cui la mancata acquisizione della famosa bicicletta nera della famiglia Stasi – verrà poi condannato per favoreggiamento della prostituzione e peculato. Secondo gli inquirenti, insieme ad altri soggetti, avrebbe tollerato che all’Exclusive Club di Garlasco alcune ragazze adescassero i clienti per poi accompagnarli nelle stanze superiori. In questo contesto emerge di nuovo il nome della donna che, anni dopo, sarà legata a Sempio tramite quella telefonata.
Se da sempre si è parlato di Chiara Poggi e Alberto Stasi come una coppia “di casa”, i documenti processuali raccontano una realtà diversa. Nonostante una relazione di quattro anni, Stasi non era così presente nella vita familiare dei Poggi. Il ragazzo, più giovane di Chiara e ancora studente, era concentrato sulla laurea. La loro era una relazione “del weekend”: durante la settimana si sentivano poco e si vedevano raramente.
Stasi non era solito entrare nella villetta di via Pascoli. Quando passava a prendere Chiara, si fermava fuori dal cancello e la salutava da lontano. Mai un pranzo o una cena con i genitori della ragazza, mai una vacanza insieme. Solo nell’estate del 2007, per la prima volta, Chiara rimase da sola a casa e Alberto entrò in quella villetta. Una dinamica che fa riflettere sulla sicurezza con cui l’assassino si muoveva all’interno dell’abitazione.
Tra i dettagli ignorati o sottovalutati dalle indagini ci sono i due teli da mare mancanti dalla saletta tv. A notarne l’assenza è la madre di Chiara, Rita Preda. Le foto dei cassetti aperti restano l’unica traccia di un possibile gesto dell’assassino, che potrebbe aver usato quei teli per asciugarsi il sangue o avvolgere l’arma mai ritrovata.
Passando in cucina, oltre a un posacenere mai repertato, c’è un cassetto della credenza, chiuso, con una traccia di sangue di Chiara. È quindi evidente, non essendo quella la stanza in cui si è consumata l’aggressione, che l’assassino sia entrato lì in un secondo momento e si sia diretto proprio verso quel cassetto. Cosa vi era contenuto? Sacchetti di plastica, buste della spesa.
Per quanto si possa essere inclini al disordine, la scena che si presenta agli investigatori nella villetta di via Pascoli va ben oltre la semplice trascuratezza domestica. Ritrovare mutande nel lavandino del bagno o adagiate sul bordo della vasca non è comune nemmeno nelle abitazioni meno ordinate. E diventa ancor più curioso quando si scopre che altri slip, sempre sporchi, si trovano ripiegati in una busta appoggiata distrattamente sul divano del salotto, come fossero stati messi lì in fretta o dimenticati da qualcuno.
Eppure, nonostante la stranezza della situazione, quegli indumenti intimi non furono mai sequestrati e non vennero sottoposti ad alcun esame che potesse stabilire se appartenessero effettivamente a Chiara Poggi. Rimangono nelle fotografie degli atti come una nota stonata mai approfondita. Una circostanza che apre la porta a ipotesi suggestive e inquietanti.
Tra le possibilità più plausibili c'è quella che quelle mutande fossero state inizialmente tutte raccolte all’interno della busta rinvenuta in salotto, per poi essere “distribuite” in giro per la casa, come a creare una sorta di messinscena. Ma da chi e perché? E soprattutto, dove erano state prese? Non nei cassetti della camera da letto, dove normalmente si conservano gli indumenti puliti, perché quelle trovate erano chiaramente sporche. Dunque, potrebbero essere state prelevate dalla lavanderia posta al piano interrato dell’abitazione, dove Chiara e la madre riponevano la biancheria da lavare. Oppure, ipotesi ancor più inquietante, potrebbero non appartenere nemmeno a Chiara ed essere state portate dall’esterno dall’assassino stesso.
Se così fosse, ci troveremmo di fronte a un elemento che sposta l’attenzione su un possibile rituale, o su un messaggio lasciato sulla scena del crimine, volutamente ambiguo e disturbante. Ma a complicare ulteriormente lo scenario è il tempismo: se l’assassino avesse sparso quegli indumenti dopo il delitto, avrebbe dovuto necessariamente lasciare tracce di sangue anche al piano superiore, dove invece non risultano essere state effettuate verifiche con il luminol. Al contrario, se l’azione fosse avvenuta prima dell’omicidio, allora ci troveremmo di fronte a una scelta inspiegabile, ma che presuppone una certa familiarità con gli spazi domestici e una conoscenza approfondita delle abitudini della famiglia Poggi.
Il dato certo è che nessuna indagine approfondita su questi particolari è mai stata condotta. Le mutande, così come la busta, sono rimaste elementi di contorno, dettagli marginali che però, se letti con attenzione, potrebbero raccontare molto di più sulla personalità e sul movente dell’assassino.
E poi il quesito principale: l’assassino conosceva bene quella casa. Ma quanto bene la conosceva Alberto Stasi rispetto ad altre persone vicine alla famiglia Poggi? Domande a cui, dopo 17 anni, nessuno ha ancora dato risposte certe.