Delitto di Nada Cella, il fratello di Annalucia Cecere: «Penso possa essere stata lei a ucciderla»
Colpo di scena al processo di Genova: il congiunto dell'imputata la descrive come «violenta e pericolosa». Durante la sua deposizione, ha raccontato il carattere irascibile della sorella e ha ammesso di sospettare un suo coinvolgimento nell'omicidio di Chiavari. Conferme anche dall'ex fidanzato
È stato un momento carico di tensione quello vissuto nell'aula della Corte d'Assise di Genova, dove si celebra il processo per l'omicidio di Nada Cella, la giovane segretaria uccisa il 6 maggio 1996 nello studio del commercialista Marco Soracco, a Chiavari. A parlare, questa volta, è stato Maurizio Cecere, fratello dell’imputata Annalucia Cecere, la donna sotto processo per l’omicidio della ventiquattrenne.
Con parole che hanno lasciato di stucco il pubblico e gli stessi giudici, Maurizio Cecere ha dichiarato apertamente: «Penso che possa essere stata mia sorella ad uccidere quella ragazza». Una convinzione personale, certo, ma che getta ombre ancora più cupe su una vicenda già complessa e dolorosa.
Durante la sua deposizione, il fratello ha tracciato il ritratto di una donna dal carattere irascibile e violento. «Se la contraddicevi diventava cattiva in modo impressionante», ha raccontato. «Era capace di scatti d'ira improvvisi, di reazioni sproporzionate». Secondo lui, se Nada Cella avesse risposto male quel giorno, Annalucia avrebbe potuto reagire in modo incontrollato, arrivando persino a colpirla.
Non solo: Maurizio ha ricordato come, dopo l'apertura delle indagini, la sorella fosse ossessionata dall'idea di essere intercettata. «Non voleva parlare al telefono — ha spiegato — mi chiamava da cellulari che non erano suoi. Era sospettosa, nervosa. E mi ripeteva di non essere stata lei, quasi a volersi convincere da sola».
Fuori dall'aula, a fine udienza, il fratello ha rincarato la dose parlando con i cronisti: «Non ho certezze, ma conosco il suo carattere. È una persona violenta, se viene contraddetta può diventare pericolosa. Dentro di me penso che possa essere stata lei».
Una testimonianza pesante che, unita a quella di un altro testimone ascoltato nella stessa giornata, delinea un quadro tutt’altro che rassicurante. A deporre è stato anche Adelmo Roda, ex fidanzato di Annalucia Cecere, che ha confermato la personalità esplosiva della donna: «Era possessiva, gelosa, e quando si arrabbiava era impossibile farla ragionare».
Roda ha aggiunto un dettaglio che potrebbe rivelarsi cruciale per la ricostruzione dei fatti: Annalucia avrebbe staccato alcuni bottoni da una sua giacca da pesca nell'estate del 1995. Un gesto apparentemente insignificante, ma uno di quei bottoni, secondo l’accusa, sarebbe compatibile con quello trovato sotto il corpo di Nada Cella. «Li aveva tolti perché le piacevano», ha raccontato l’ex fidanzato, collocando il fatto pochi mesi prima del delitto.
Il bottone potrebbe dunque rappresentare una prova concreta che collega Annalucia Cecere alla scena del crimine, rafforzando l'impianto accusatorio fondato anche su nuovi elementi emersi negli ultimi anni d’indagine.
Il processo per il delitto di Nada Cella si sta così trasformando, udienza dopo udienza, in un mosaico di testimonianze che disegnano la figura di una donna dal carattere difficile, capace di reazioni imprevedibili. Una donna che, secondo chi le è stato vicino, avrebbe potuto perdere il controllo davanti a una banale lite.
La strada verso una verità giudiziaria definitiva è ancora lunga, ma la deposizione del fratello Maurizio, così netta e priva di ambiguità, segna senza dubbio un punto di svolta. Anche perché, come ha ammesso lui stesso, «se ha sbagliato, è giusto che paghi».
Nelle prossime settimane il processo proseguirà con nuove testimonianze e ulteriori analisi sui reperti rinvenuti. Un percorso difficile, ma necessario, per provare a dare finalmente giustizia a Nada Cella, la ragazza che da quasi trent’anni attende una verità definitiva.