Donald Trump perde un altro round: la Guardia Nazionale non è il suo giocattolo personale
Il giudice Charles Breyer sconfessa la mossa del presidente di schierarla a Los Angeles, definendola illegittima e contraria alla Costituzione. Gavin Newsom esulta, mentre il Dipartimento di Giustizia parla di “intrusione straordinaria” nei poteri presidenziali
Donald Trump incassa un altro schiaffo dalla giustizia americana. E questa volta arriva da San Francisco, dove un giudice federale ha stabilito che il presidente non poteva ordinare lo schieramento della Guardia Nazionale in California, senza il consenso dello Stato. Una mossa che il giudice Charles Breyer ha definito apertamente “illegale”, contraria al decimo emendamento della Costituzione e “oltre ogni limite accettabile dei poteri esecutivi”. Tradotto: Trump ha abusato del proprio ruolo.
Era l’ennesima prova muscolare in stile Trump, un’ostentazione di forza travestita da tutela dell’ordine. Ma a fermarlo è stata la legge. Il caso riguarda la decisione di dispiegare le truppe federali a Los Angeles a fine maggio, ufficialmente per “proteggere edifici e funzionari pubblici da possibili rivolte”. In realtà, secondo il governatore Gavin Newsom – che ha portato la questione in tribunale – si trattava solo di un altro atto di propaganda autoritaria: “un tentativo sfrontato di militarizzare una crisi interna per fini politici”.
Il tribunale gli ha dato ragione. “L’esercito appartiene al campo di battaglia, non alle strade delle nostre città”, ha scritto Newsom su X dopo la sentenza. E non è la prima volta che lo dice. Da mesi il governatore democratico denuncia l’uso improprio della Guardia Nazionale da parte dell’ex presidente, definendolo “un attacco alla democrazia federale”. Questa volta, però, le sue parole hanno trovato riscontro nelle 36 pagine della sentenza.
Il Dipartimento di Giustizia ha reagito furiosamente, presentando subito ricorso. “Si tratta di una straordinaria intrusione nell’autorità costituzionale del presidente, in qualità di comandante in capo”, si legge nel documento depositato in tribunale. Ma ormai è tardi per i comunicati infuocati: la decisione è stata presa, e restituisce alla California il controllo della sua Guardia Nazionale.
Per Trump è una batosta politica e simbolica. Per Newsom, è una rivincita personale e un segnale chiaro: anche l’uomo che si crede al di sopra di tutto – dalle leggi alla decenza – deve rispondere a qualcuno. E in un clima elettorale sempre più acceso, la decisione della corte riaccende i riflettori sulle pulsioni autoritarie dell’ex presidente. “Se non porrà fine all’inutile militarizzazione di Los Angeles – ha aggiunto Newsom – confermerà di nuovo ciò che molti temono: che Trump non ha mai davvero accettato i limiti del potere democratico”.
La partita ora si sposta su due piani: quello legale, con il ricorso in appello, e quello politico, dove ogni sentenza è un mattone nella narrazione della campagna elettorale. Trump continuerà a sbandierare la retorica del “presidente forte”, quello che non ha paura di usare i muscoli. Ma la verità è che, a forza di forzare la mano, cominciano a spezzargliela. E ogni nuova sentenza diventa un promemoria: non basta una cravatta rossa e un comizio infuocato per riscrivere la Costituzione.