Dopo la separazione delle carriere tocca alla Corte dei Conti: la riforma che ridisegna i controlli (e li indebolisce)
Tra tetti al risarcimento, silenzio-assenso e nuovi poteri all’esecutivo, l’ultimo passaggio parlamentare solleva più di un allarme. Disegno di legge all’ultimo miglio dopo settimane di tensioni sotterranee
Facendo gli straordinari in questo fine settimana, il Senato si prepara a licenziare in via definitiva la riforma della Corte dei Conti, un passaggio che il governo considera strategico e che Palazzo Chigi segue passo passo. Il disegno di legge, già approvato dalla Camera, arriva all’ultimo miglio dopo settimane di tensioni sotterranee con la magistratura contabile, che pur mantenendo un profilo istituzionale non ha mai nascosto le proprie perplessità.
La narrazione ufficiale parla di “modernizzazione” e di una Corte che potrà “funzionare meglio al servizio dei cittadini”. Ma dietro la retorica dell’efficienza amministrativa si profila un intervento che incide in profondità sull’equilibrio tra controllo, responsabilità e autonomia della magistratura contabile, ridisegnandone ruolo e poteri in senso restrittivo.
Il primo snodo critico riguarda la responsabilità amministrativa. La riforma introduce il cosiddetto “doppio tetto” al risarcimento del danno erariale: anche in presenza di una condanna, l’amministratore pubblico non potrà essere chiamato a risarcire più del 30 per cento del danno accertato e, comunque, non oltre due annualità di stipendio lordo. Una scelta che, secondo i magistrati contabili, rischia di svuotare di efficacia la funzione deterrente della Corte, trasformando il danno erariale in un costo calcolabile e sostenibile.
Accanto a questo, il provvedimento amplia il controllo preventivo sugli atti amministrativi e rafforza la funzione consultiva della Corte. È qui che si innesta un meccanismo destinato a cambiare radicalmente il rapporto tra dirigenti pubblici e magistratura contabile: il parere “a chiamata”. I dirigenti potranno chiedere un parere preventivo alla Corte, che avrà trenta giorni di tempo per rispondere. In caso di silenzio, il parere si intenderà favorevole e il richiedente sarà automaticamente esente da responsabilità.
Lo stesso schema vale per il controllo preventivo: se la Corte non si pronuncia entro i termini, l’atto potrà andare avanti senza conseguenze per chi lo ha adottato. Solo nel caso in cui il dirigente scelga di non interloquire affatto con la magistratura contabile e proceda con un atto illegittimo scatteranno indagine e condanna.
È un impianto che, di fatto, introduce una forma di “scudo procedurale” per l’amministrazione, spostando l’asse dalla responsabilità sostanziale al rispetto formale delle procedure. Un cambio di paradigma che, secondo le critiche interne alla Corte, rischia di incentivare l’inerzia decisionale e di trasformare il silenzio dell’organo di controllo in una legittimazione automatica.
Non meno rilevante è la seconda parte della riforma, che sarà attuata tramite decreti delegati e che interviene sull’organizzazione interna della Corte dei Conti. Le sezioni centrali e regionali verranno accorpate, con magistrati chiamati a svolgere contemporaneamente funzioni di controllo, giurisdizionali e consultive. Viene introdotta la separazione delle funzioni tra requirenti e giudicanti, mentre aumentano i poteri del procuratore generale, anche nei confronti dei procuratori regionali.
Un riassetto che rafforza la verticalizzazione dell’istituzione e concentra maggiori leve decisionali al vertice, alimentando il timore di una progressiva compressione dell’autonomia interna. Non a caso, l’Associazione nazionale dei magistrati della Corte dei Conti ha più volte segnalato il rischio di un ridimensionamento strutturale del ruolo della magistratura contabile, proprio mentre la gestione delle risorse pubbliche – dal Pnrr alla spesa ordinaria – richiederebbe controlli forti e indipendenti.
La riforma arriva così al traguardo tra l’entusiasmo della maggioranza e le riserve di chi vede in questo intervento non solo un aggiornamento tecnico, ma una scelta politica precisa: ridurre l’area del controllo e della responsabilità in nome della “velocità” amministrativa. Una scommessa che potrebbe incidere a lungo sull’equilibrio tra potere esecutivo, pubblica amministrazione e organi di garanzia.