Due guerre e due misure: per Gaza piazze oceaniche, per l’Ucraina silenzio. E intanto Putin massacra civili alla stazione di Shostka
In Ucraina sono morte oltre 400mila persone dall’inizio dell’invasione, ma nessuno sciopero, nessun corteo di massa. Perché i bambini di Kiev non meritano la stessa solidarietà che incendia le piazze per Gaza?
Due guerre e due misure. È impossibile non vederlo, non sentirlo, non gridarlo. Da un lato, le piazze d’Italia e d’Europa piene fino a scoppiare per Gaza, cortei di centomila, bandiere che oscurano i cieli di Roma, Milano, Napoli. Dall’altro, l’Ucraina che continua a morire sotto le bombe di Putin nel silenzio assordante di un’Europa distratta e di un’Italia che sembra non accorgersi di nulla.
Stanotte un drone russo ha colpito una stazione ferroviaria a Shostka, nella regione di Sumy. Decine di feriti, si temono morti. Le immagini parlano da sole: un treno passeggeri in fiamme, soccorritori che scavano tra le lamiere annerite, gente che urla mentre cerca i propri cari. Zelensky ha scritto: «I russi non potevano non sapere che stavano colpendo civili. È terrorismo, e il mondo non ha il diritto di ignorarlo».
Eppure il mondo lo ignora. Le cifre sono lì, spietate: più di 400mila morti dall’inizio dell’invasione, due anni di carneficina, città sventrate, villaggi cancellati. E intanto sindacati, collettivi, associazioni riempiono le strade per denunciare Israele e per difendere la Flotilla. Giusto, legittimo, sacrosanto. Ma per Kiev? Per Kharkiv, per Odessa, per i bambini che nascono nei rifugi antiaerei, nessun corteo. Nessuno sciopero generale. Nessuno striscione che urli “Putin terrorista”.
Perché? Forse perché la guerra in Ucraina non si presta al romanticismo dei Don Chisciotte contro i mulini a vento. Forse perché difendere gli ucraini significa ammettere che Putin non è un “argine all’Occidente”, ma un macellaio che usa i droni per bruciare vivi i passeggeri di un treno. Forse perché è più comodo chiudere gli occhi e raccontarsi che Kiev è lontana, che “tanto sono tutti corrotti”, che i russi sono potenti e non si possono fermare.
Intanto i droni ucraini colpiscono una raffineria nella regione di Leningrado. È la controffensiva di chi non si arrende, di chi prova a resistere con i mezzi che ha. L’impianto di Kirishinefteorgsintez, uno dei più grandi del Paese, va in fiamme. È la guerra, e l’Ucraina non ha scelto di farla: la subisce, la incassa, la vive ogni giorno sulla pelle dei suoi civili.
Ma qui, da noi, l’indignazione selettiva diventa regola. Per Gaza cortei, scioperi, slogan. Per l’Ucraina articoli relegati in cronaca estera, trafiletti, qualche dichiarazione di circostanza. Nessun sindacato che paralizza i trasporti, nessun milione di persone in piazza a urlare “stop al genocidio”. Eppure i morti sono lì, centinaia ogni giorno, e non hanno la colpa di essere troppo vicini o troppo bianchi.
È crudele ma necessario dirlo: sembra che i bambini di Gaza commuovano più di quelli di Kiev. Sembra che il sangue palestinese valga di più del sangue ucraino. Sembra che per alcuni l’umanità abbia confini politici e ideologici, come se la solidarietà fosse un abito da indossare a seconda della stagione e delle convenienze.
Il risultato è un paradosso. Israele, con le sue colpe e le sue responsabilità, riesce a generare un’ondata di proteste globali. Putin, con le sue stragi quotidiane, con i suoi massacri sistematici, passa quasi inosservato. È la vittoria della propaganda russa, che da anni lavora per dipingere Kiev come un burattino dell’Occidente, e dell’ipocrisia europea, che preferisce parlare di pace astratta senza guardare in faccia la realtà: questa guerra finirà solo quando Mosca verrà fermata.
Oggi a Shostka brucia un treno, ieri era un condominio a Kharkiv, domani sarà un ospedale a Odessa. E nessuno scende in piazza. Nessuno riempie le strade di Roma gridando “Putin terrorista”. Nessuno invoca sanzioni più dure, nessuno chiede scioperi o boicottaggi. È come se ci fossimo abituati. Come se la carneficina fosse normale, quasi fisiologica.
Due guerre e due misure. Due popoli sotto le bombe, ma solo uno riesce a scuotere le coscienze. L’altro muore in silenzio, tra l’indifferenza generale e le fiamme di una stazione ferroviaria.