Due Papi e un solo trono: Francesco, Benedetto e il mistero di un pontificato condiviso
Bergoglio ha governato la Chiesa accanto all’ombra discreta e ingombrante di Ratzinger. Due uomini diversi, due teologie divergenti, una sola istituzione da tenere insieme. Ma dietro la lealtà reciproca si è consumato un decennio di sospetti, fantasmi e tensioni silenziose, in una convivenza che ha segnato il papato come mai prima
È stato un pontificato attraversato da un’ombra. Quella di un altro Papa, ancora vivo, ancora in Vaticano. Quando Jorge Mario Bergoglio si affacciò al balcone di San Pietro nel marzo del 2013, Benedetto XVI era già lì, ritirato da poche settimane nel Monastero Mater Ecclesiae. Aveva lasciato il trono più sacro della cristianità con un gesto epocale, senza precedenti nella modernità, e con parole che lasciavano spazio a molte letture: "Non ho più le forze".
Il mondo si interrogava. E in molti, forse, pensarono che il gesto di Ratzinger sarebbe rimasto un’eccezione. Ma per oltre dieci anni, la Chiesa ha vissuto una condizione nuova: due Papi dentro le mura leonine. Uno che parlava, viaggiava, decideva. L’altro che taceva, pregava, osservava. Un equilibrio fragile, reso possibile da un rispetto personale che entrambi hanno faticosamente coltivato, consapevoli che ogni crepa avrebbe potuto diventare un baratro.
Il tratto più straordinario della coesistenza tra Francesco e Benedetto è stato, paradossalmente, la loro capacità di apparire uniti pur rappresentando due mondi opposti. Ratzinger era il custode dell’ortodossia dottrinale, teologo raffinato, sobrio, schivo. Bergoglio era il pastore argentino, abituato alle periferie, al linguaggio diretto, alle riforme vissute come necessità, non come trauma. Due chiese, due mentalità, due linguaggi. Ma un solo trono, che hanno provato – con alterne fortune – a condividere senza mai sedervisi insieme.
Le fotografie affiancate nelle nunziature, le interviste filtrate da collaboratori, i commenti sussurrati nei corridoi della Curia: tutto contribuiva a mantenere vivo un dualismo che la Chiesa, abituata alla centralità assoluta del Vicario di Cristo, non sapeva come gestire. Non c’era un protocollo, né una liturgia scritta per spiegare ai fedeli come convivere con un Papa emerito. Non c’era nemmeno, fino alla fine, una parola definitiva sulle regole che avrebbero dovuto accompagnare un eventuale secondo addio.
Per questo, ogni gesto veniva letto con attenzione quasi maniacale. Se Benedetto indossava ancora la talare bianca, se Francesco citava il predecessore nei suoi discorsi, se uno appariva in pubblico con l’altro. Tutto si caricava di senso. Tutto rischiava di scatenare dietrologie, letture ideologiche, tifoserie ecclesiali.
Il Papa dei primati: da Buenos Aires a Roma, Francesco ha riscritto la storia della ChiesaEppure, mai un contrasto aperto. Mai una smentita reciproca. Benedetto fu il primo a intervenire – con fermezza – quando alcuni ambienti legati alla sua figura provarono a delegittimare teologicamente Bergoglio. «Stolto pregiudizio», disse a chi voleva contrapporre il teologo al gesuita “privo di spessore intellettuale”. E Francesco, da parte sua, non mancò mai di ricordare con affetto e rispetto il “nonno saggio” che lo accompagnava nel silenzio della preghiera.
Il problema è che quel silenzio, col tempo, è diventato una narrazione parallela. Il Monastero Mater Ecclesiae veniva visto da alcuni come un rifugio degli scontenti. Un luogo dove si raccoglievano nostalgie dottrinali, resistenze curiali, ambizioni frustrate. Casa Santa Marta, invece, diventava l’epicentro di un papato che scardinava vecchi assetti: dalla riforma della Curia alle aperture sulla sinodalità, dalla gestione dei dossier finanziari alla lotta contro gli abusi.
Nel mezzo, una Chiesa sospesa. Divisa tra chi vedeva in Francesco un riformatore coraggioso e chi lo considerava un pericolo per la tradizione. E più il tempo passava, più l’ambiguità si cristallizzava. Perché, di fatto, nessuno aveva stabilito cosa significasse essere “emerito”. Benedetto lo aveva detto a parole. Ma il solo fatto che fosse ancora lì – vivo, visibile, venerato – complicava ogni lettura lineare.
Quando Ratzinger morì nel 2022, molti pensarono che Bergoglio avrebbe seguito la stessa strada. Da tempo si rincorrevano voci sulla sua salute, sulle sue difficoltà fisiche, sulle confidenze fatte a pochi intimi. Ma Francesco ha scelto di restare. Fino all’ultimo. Governando con dolore visibile, spesso sulla sedia a rotelle, senza rinunciare. E in quell’ostinazione ha forse rivelato la sua ultima volontà: evitare alla Chiesa un secondo Papa emerito. Evitare che la coabitazione diventasse regola.
Papa Francesco, addio al pontefice che ha riformato la Chiesa: le sue parole semplici e lo sguardo sulle periferie del mondoIl suo ultimo passaggio in piazza San Pietro, su quella piccola auto bianca, è sembrato a molti un addio silenzioso. Ma anche un atto di fedeltà: alla sua missione, al suo popolo, e forse anche al suo predecessore. Come se volesse chiudere un cerchio che per anni è rimasto aperto.
E ora che Francesco non c’è più, resta il mistero di quel lungo decennio condiviso. Un tempo unico, che i libri di storia non potranno liquidare con una semplice nota a piè di pagina. Perché nulla sarà più come prima. Nemmeno il papato.