Epstein, nuove mail scuotono Washington: «Trump passava ore con Virginia a casa mia». E il fratello accusa: «Jeffrey non si è suicidato»
Mark Epstein non ha mai creduto al suicidio e ora vede nelle nuove email un possibile punto di svolta. La Casa Bianca ridimensiona la portata delle rivelazioni, ma il Congresso prepara una battaglia che potrebbe travolgere entrambi gli schieramenti.
«Spero e credo che queste nuove informazioni possano essere utili a chiarire le circostanze dell’omicidio di mio fratello». Mark Epstein lo ripete con voce ferma, lasciando cadere nelle sue parole l’accusa più grave: per lui, Jeffrey non si è tolto la vita, è stato eliminato. E dopo anni trascorsi a chiedere trasparenza, oggi vede uno spiraglio che non aveva mai intravisto. Le email appena pubblicate dalla Camera dei Rappresentanti, insieme a migliaia di documenti ottenuti dai curatori del patrimonio del finanziere, riportano infatti il caso al centro della scena americana.
Il “signor” Andrea Windsor sotto inchiesta: dagli Usa un invito a testimoniare sul caso EpsteinNei messaggi, Epstein cita direttamente il presidente Donald Trump e lo fa in termini che, pur senza insinuare reati, mostrano una vicinanza e una consapevolezza che la Casa Bianca continua invece a minimizzare. In una mail del 2 aprile 2011 scrive a Ghislaine Maxwell: «Il cane che non ha abbaiato è Trump. La vittima ha passato ore nella mia casa con lui, ma non è mai stato menzionato dal capo della polizia». La Casa Bianca ha confermato che la “vittima” era Virginia Giuffre, la giovane che denunciò di essere stata abusata dal principe Andrea e che si è suicidata lo scorso aprile. Eppure quell’espressione — “il cane che non ha abbaiato” — è bastata per rimettere Trump al centro della vicenda.
In un’altra email, datata 31 gennaio 2019, Epstein racconta a Michael Wolff del suo allontanamento da Mar-a-Lago. «Trump ha detto che mi ha chiesto di dimettermi, ma non sono mai stato membro», scrive. E aggiunge una frase che pesa come un macigno: «Ovviamente sapeva delle ragazze, poiché ha chiesto a Ghislaine di smettere».
La Casa Bianca liquida tutto come “strumentalizzazione politica”, insiste sul fatto che la stessa Giuffre non ha mai accusato Trump di comportamenti impropri e definisce i documenti «vecchie informazioni riciclate». Ma il clima intorno alla vicenda è completamente cambiato. Il Comitato di Controllo della Camera ha reso pubbliche 23 mila pagine di materiale, mentre alcuni deputati repubblicani hanno scelto di rompere la linea di protezione attorno al presidente e sostenere la richiesta democratica di desecretare tutti i file federali ancora coperti da segreto.
Trump nega la lettera oscena a Epstein: «Non disegno». Ma i suoi schizzi sono finiti all’asta per migliaia di dollariÈ un passo che potrebbe incrinare equilibri consolidati. I documenti oggi pubblici sono soltanto una parte dell’archivio: mancano i rapporti dell’FBI, le dichiarazioni dei testimoni protetti, gli appunti sequestrati nelle proprietà di Epstein, le registrazioni e le analisi interne sull’arresto, la detenzione e la morte del finanziere. Durante la sua prima campagna elettorale, Trump aveva promesso di pubblicare tutto. Una promessa poi svanita nel nulla dopo il suo insediamento. Per Mark Epstein, questa è la prova più evidente che ci siano verità scomode da nascondere.
La morte del finanziere, avvenuta il 10 agosto 2019 al Metropolitan Correctional Center di New York, è ufficialmente un suicidio. Ma quel carcere era al centro di segnalazioni, malfunzionamenti e omissioni da anni. Le telecamere della sua ala non funzionavano. Le guardie si erano addormentate. Le procedure di controllo non erano state rispettate. Tutti elementi che hanno alimentato teorie alternative sin dal primo giorno. Jeffrey Epstein, secondo il fratello, era concentrato sulla sua difesa, impegnato con gli avvocati nella costruzione di una strategia processuale e non aveva dato alcun segnale di cedimento psicologico.
Le nuove mail riportano inoltre alla luce la storia di un rapporto mai davvero chiarito. Per un decennio, Donald Trump ed Epstein sono stati spesso fotografati insieme a feste private, concorsi di bellezza e serate nei club più esclusivi. «Jeff è un tipo fantastico — disse Trump al New York Magazine nel 2002 —. Gli piacciono le donne belle quanto piacciono a me, forse un po’ più giovani». Anche la rottura tra i due magnati è ampiamente documentata: risale al 2004 ed è legata a un’asta immobiliare a Palm Beach in cui Trump superò un’offerta di Epstein per l’acquisto di una villa. Anni dopo, il presidente ha sostenuto di averlo allontanato da Mar-a-Lago per «comportamenti volgari».
Nel frattempo Ghislaine Maxwell, condannata nel 2021 a vent’anni per aver reclutato e sfruttato minorenni a beneficio di Epstein e dei suoi amici, continua a non collaborare con gli inquirenti. E la morte di Virginia Giuffre, simbolo della battaglia contro la rete del finanziere, ha riacceso ulteriormente l’attenzione pubblica.
L’apertura dei dossier non toccherebbe solo Trump. L’archivio contiene i nomi di decine di figure pubbliche, uomini d’affari, politici, diplomatici, celebrità. Il timore di molti è che la desecretazione completa possa provocare uno tsunami destinato a colpire entrambi i partiti, e forse anche governi stranieri.
Il clima politico è già incandescente. Trump definisce le mail «una bufala ripescata per coprire la disastrosa gestione democratica dello shutdown». I repubblicani più vicini al presidente invitano a «non cadere nella trappola», mentre il fronte anti-Trump vede in questa vicenda la possibilità di incrinare la sua corsa verso il 2028.
Intanto la Camera si prepara al voto sulla petizione che chiede l’apertura totale degli archivi. Se passerà, gli Stati Uniti dovranno affrontare la parte più oscura del caso: non solo gli abusi e il traffico di minorenni, ma anche le coperture, le omissioni, gli errori dell’FBI, le complicità sociali e politiche che permisero a Epstein di agire per anni.
Mark Epstein aspetta questo momento da tempo. «Jeffrey non aveva paura della verità. Sono altri ad averne paura», ripete. Il punto ora è capire se un Paese spaccato e polarizzato come l’America sia davvero pronto a vedere cosa si nasconde dietro una delle vicende più tossiche e simboliche degli ultimi decenni.