Farmaci nel mirino di Trump: quattro miliardi di danni per l’Italia e l’Europa resta a guardare
La nuova offensiva tariffaria voluta dal presidente americano apre una frattura commerciale con l’Unione europea. E il settore farmaceutico italiano è tra i più colpiti: secondo Farmindustria sarà una stangata. Ma da Bruxelles, per ora, nessuna risposta comune.
Non si parla d’altro che della guerra commerciale scatenata da Donald Trump con l’introduzione dei dazi al 30% sui prodotti europei, in vigore dal prossimo 1° agosto. Una scelta unilaterale, annunciata senza preavviso, che colpisce settori chiave dell’export europeo, tra cui anche la farmaceutica. E mentre l’Unione europea fatica perfino a trovare una posizione condivisa, si cominciano a fare i conti con i danni.
Solo per l’Italia, il presidente di Farmindustria, Marcello Cattani, parla di un impatto diretto da oltre 4 miliardi di euro. Una stima prudente, ma sufficiente a descrivere la portata del problema. «Il buon senso deve prevalere – ha dichiarato – perché il settore farmaceutico è centrale per l’economia europea, e rappresenta il primo comparto industriale per saldo positivo». La speranza è che i negoziati avviati dal commissario europeo Maros Sefcovic riescano almeno a ridurre il perimetro del danno. Ma al momento, il clima è quello di una tempesta che nessuno sembra in grado di fermare.
La misura americana colpisce non solo i farmaci finiti, ma anche i principi attivi farmaceutici e gli intermedi chimici fondamentali per la produzione. Una scelta che, come spiegano diversi esperti del settore, rischia di spezzare una filiera globale già fragile, aumentando i costi e rallentando l’intero processo produttivo. Il farmacologo Carlo Centemeri, dell’Università di Milano, parla senza giri di parole di “una mazzata per il sistema pharma mondiale”. E spiega: “La maggior parte degli Api – i principi attivi – e dei loro precursori arriva da Cina e India. Aumentare i costi all’importazione significa innescare un effetto domino che alla fine si ripercuoterà su tutti: imprese, governi, pazienti”.
Negli Stati Uniti, dove i prezzi dei farmaci sono già elevati, gli analisti prevedono un’impennata dei costi sanitari. Il sistema assicurativo privato dovrà assorbire rincari pesanti, mentre programmi pubblici come Medicare e Medicaid si troveranno a fronteggiare una nuova pressione finanziaria. «Questi dazi – sottolinea ancora Centemeri – finiranno per scaricarsi sui cittadini americani, che pagheranno farmaci più cari e rischieranno anche carenze».
Perché se la filiera si inceppa, soprattutto nel segmento dei generici o dei farmaci a catena del freddo, il rischio è che alcuni produttori decidano di uscire dal mercato Usa, piuttosto che sostenere l’aumento dei costi.
Ma il vero paradosso è che la strategia protezionista di Trump potrebbe indebolire proprio il settore che vuole rafforzare. Per riportare la produzione sul suolo americano, servono investimenti miliardari e tempi lunghissimi. «Costruire un impianto conforme agli standard Fda – spiega Centemeri – richiede dai cinque ai dieci anni. Nel frattempo, però, il danno sarà già stato fatto».
E mentre le aziende italiane ed europee fanno i conti con margini erosi e ordini a rischio, da Bruxelles continua il silenzio. Nessuna risposta ufficiale, nessuna contromossa concreta. Solo dichiarazioni d’intenti e l’eterna attesa di un’intesa diplomatica che appare sempre più difficile. La Commissione europea è divisa, gli Stati membri esitano, e intanto il conto lo pagano le imprese.
Il settore farmaceutico, per sua natura interconnesso e globalizzato, è uno dei più sensibili agli shock commerciali. Eppure, è stato trattato alla stregua di una merce qualsiasi. In assenza di deroghe specifiche, a partire dal primo agosto i dazi scatteranno anche su farmaci salvavita, vaccini, biofarmaci ad alta complessità. Il rischio è di trasformare una scelta ideologica in una crisi strutturale per la salute pubblica e l’industria.
Il presidente di Farmindustria continua a sperare in una soluzione diplomatica. «Siamo convinti che la negoziazione potrà portare risultati positivi», dice Cattani. Ma dietro le parole, la realtà è che l’Italia rischia di perdere miliardi di euro, competitività e attrattività industriale. E che questa volta, nessuno potrà dire di non essere stato avvertito.