Finanziamenti ad Hamas, ecco le intercettazioni: così operava la rete smantellata dall’antiterrorismo
«Noi ci sacrifichiamo con i soldi, ma loro con il sangue»: i dettagli dell’inchiesta dalle frasi di Hannoun agli incontri con Haniyeh fino al tentativo di cancellare le prove
«La maggior parte dei soldi vanno… alla Mugawama», la resistenza armata di Hamas. «Noi ci sacrifichiamo con i soldi e con il tempo, ma loro con il sangue». Sono alcune delle frasi intercettate a Mohammed Hannoun nell’ambito dell’inchiesta che ha portato al suo arresto e a quello di altre otto persone in diverse città italiane, per un presunto sistema di finanziamento ad Hamas.
L’operazione, condotta dall’antiterrorismo e coordinata dalla Procura di Genova, avrebbe fatto emergere – riporta oggi Repubblica – la piena consapevolezza degli indagati sulla reale destinazione delle raccolte di fondi. Nell’ordinanza firmata dal gip del tribunale di Genova, Silvia Carpanini, si ricostruisce come il denaro fosse destinato anche «alle esigenze operative dell’ala militare», oltre che al sostegno «delle famiglie dei martiri, dei feriti e dei prigionieri». Per Guardia di finanza e Polizia, almeno il «71 per cento delle uscite» delle associazioni coinvolte sarebbe riconducibile a queste finalità.
Gli incontri con Hamas
Tra gli atti dell’inchiesta figurano anche i rapporti diretti tra Hannoun e Ismail Haniyeh, leader di Hamas ucciso da Israele nel luglio 2024 mentre si trovava in Iran. Le carte contengono fotografie, intercettazioni e dichiarazioni pubbliche dello stesso Hannoun. Dopo la morte di Haniyeh, l’uomo rivendica apertamente quel legame in un intervento diffuso sui social e seguito in diretta anche nei locali dell’associazione, affermando di averlo incontrato l’ultima volta «un mese prima».
Già il 30 aprile 2024, in una conversazione in auto con la moglie e la figlia, Hannoun riferisce di essere stato convocato: «Mi hanno detto che vogliono vedermi, andrò a vedere Ismail», utilizzando il nome fittizio di Haniyeh, Abu al Abed.
«A noi ci daranno sei anni»
Un ulteriore capitolo dell’inchiesta riguarda il timore che il gruppo potesse essere a conoscenza delle indagini e tentasse di eliminare le prove. «Se ad Abu Rashad gli hanno dato un anno, a noi ci daranno sei anni», si legge in una conversazione intercettata. Da qui l’invito a cancellare archivi, spostare dati su chiavette e nasconderli presso persone fidate.
«Io sto pensando anche di rompere il pc dell’ufficio», afferma uno degli indagati. Un altro insiste: «Non lasciare nulla». Secondo gli investigatori, Hannoun avrebbe inoltre pianificato il trasferimento di documenti e fondi in Turchia, predisponendo conti esteri e avendo già pronto anche il passaporto.