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01/10/2025 ore 21.09
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Flotilla, ultime barche resistono: «Rotta su Gaza per rompere il blocco». Crosetto: «Ora serve calma»

«Siamo pacifici, apriamo un corridoio umanitario», ripetono dall’Aurora. Ma i contatti si interrompono e Israele stringe la morsa con venti unità navali.

di Luca Arnaù

La Global Sumud Flotilla continua a muoversi tra speranza e blackout. Dopo l’abbordaggio dell’Alma, nave madre della missione, altre imbarcazioni resistono e rilanciano messaggi frammentari, pur sotto interferenze crescenti e con la consapevolezza che la Marina israeliana è ormai a ridosso.

Dall’Aurora, una delle barche più esposte, gli attivisti hanno diffuso un messaggio chiaro: «È iniziato l’intercetto di alcune delle imbarcazioni, in particolare con l’Alma. La connessione va a tratti, ma siamo determinati a continuare. Facciamo rotta verso Gaza per rompere il blocco navale e aprire un corridoio umanitario permanente». Parole scandite da un senso di urgenza, arrivate poco dopo le 20, quando i radar hanno segnalato almeno venti unità israeliane in avvicinamento.

La scena che si delinea è quella di un accerchiamento in piena regola: piccole barche civili da una parte, un dispositivo militare imponente dall’altra, con gommoni veloci già a ridosso della Flotilla. «Potremmo perdere la connessione a breve – avvertono ancora gli attivisti –. Invitiamo tutti a sostenere la Global Sumud Flotilla e, soprattutto, il diritto all’esistenza del popolo palestinese. Siamo una missione autorganizzata e pacifica».

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Mentre i contatti radio si fanno intermittenti, i riflettori politici si accendono anche in Italia. Il ministro della Difesa Guido Crosetto, in diretta al Tg1, ha spiegato: «Mi auguro che tutto avvenga con calma e razionalità. Le barche sono circondate e dovrebbero essere portate al porto di Ashdod, dove ci attiveremo per verificare il rientro dei nostri connazionali. L’importante è che tutto avvenga senza violenza, senza alcun rischio».

Poche ore prima era arrivata anche la posizione del ministro degli Esteri Antonio Tajani: «Gli italiani andranno in Israele e poi saranno espulsi». Una conferma che la linea di Tel Aviv prevede una rapida identificazione degli attivisti e il loro trasferimento fuori dai confini, come già accaduto in passato in casi analoghi.

Sui social, la portavoce italiana della Flotilla, Maria Elena Delia, ha denunciato: «Le navi militari dell’IOF hanno cominciato le procedure di intercetto in acque internazionali. Restate vigili. Non lasciamoli soli. Ora tocca all’equipaggio di terra». Un appello rivolto a chi, in queste ore, segue la missione da remoto e cerca di mantenere aperti i canali di comunicazione.

Il quadro resta confuso: alcune barche hanno già perso il contatto, altre trasmettono a singhiozzo. L’impressione è che Israele stia procedendo a ondate, isolando progressivamente i gruppi di attivisti per poi abbordarli e rimorchiarli. Una strategia che mira a evitare un’escalation improvvisa, ma che di fatto segna la fine della spedizione, iniziata con l’obiettivo dichiarato di rompere il blocco di Gaza e consegnare beni di prima necessità alla popolazione.

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Nonostante la sproporzione di forze, gli attivisti insistono nel definire la loro azione «una missione pacifica». Lo ribadiscono in ogni messaggio che riescono a far filtrare: «Non ci arrendiamo, la nostra rotta è Gaza. Vogliamo aprire un corridoio umanitario permanente».

Ma la realtà in mare è diversa: l’Alma è già stata portata offline, altre barche rischiano di seguirla a breve. Israele stringe la morsa e prepara il trasferimento degli attivisti ad Ashdod, mentre il governo italiano si muove per assicurare l’assistenza consolare ai connazionali coinvolti.

In mezzo, resta l’eco degli ultimi messaggi dalla Flotilla, scanditi da interferenze e silenzi sempre più lunghi: «Andiamo avanti, fino all’ultimo miglio».