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25/05/2025 ore 07.21
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Gaza cimitero dell’infanzia: i nove fratellini uccisi da un bombardamento israeliano simbolo di un’umanità che crolla

Solo uno dei 10 figli della pediatra Alaa al-Najjar è sopravvissuto e lotta ora tra la vita e la morte. Un episodio che ha scosso il mondo ma che non è l’unico: sono decine di migliaia i bambini morti. E a uccidere è anche l’indifferenza dell’Occidente

di Redazione Esteri

Alaa al-Najjar è una donna, una madre, una pediatra. Vive e lavora a Gaza. Con suo marito, anche lui medico, aveva scelto consapevolmente di costruire una famiglia numerosa: dieci figli, desiderati e cresciuti nel cuore della Striscia. Ma l’immane tragedia è accaduta all’improvviso: la famiglia è stata spazzata via in pochi secondi! È tutto è finito nel sangue di 9 ragazzini innocenti.

Durante un turno al Nasser Medical Complex di Khan Younis, dove si trovava in corsia per salvare altre vite, Alaa ha ricevuto i corpi quasi irriconoscibili di nove dei suoi dieci figli, uccisi da un bombardamento che ha raso al suolo la sua abitazione. Il figlio maggiore aveva appena dodici anni, come ha raccontato la Bbc. Il marito è gravemente ferito. L’unico figlio sopravvissuto è stato estratto dalle macerie e ora lotta tra la vita e la morte nello stesso ospedale dove la madre lavora. Dove fino a poche ore prima curava altri piccoli, oggi aspetta con il cuore straziato di sapere se suo figlio ce la farà.

Raid israeliani a Gaza, colpita la casa di una dottoressa: morti nove dei dieci figli

Questa non è solo una tragedia personale. È l’emblema di un’umanità che crolla. Un caso estremo, ma non isolato, in una guerra che da mesi cancella famiglie, generazioni, memoria. Gaza è oggi una terra devastata, un deserto di lacrime e macerie dove il dolore delle madri si confonde con il silenzio del mondo.

È un caso limite, ma non un’eccezione. È un simbolo. Gaza è diventata un cimitero d’infanzia. Secondo i dati delle Nazioni Unite e delle principali Ong umanitarie, oltre 14.000 bambini sono stati uccisi da inizio guerra, cominciata con l’escalation del maggio 2021 e poi diventata un conflitto permanente.

Quasi 40.000 civili sono morti, decine di migliaia i feriti, spesso amputati o resi disabili a vita. Più di 1,5 milioni di sfollati interni vagano in cerca di rifugio in una delle aree più densamente popolate e martoriate del pianeta.

Gaza è stata rasa al suolo.

Secondo l’Unrwa, oltre il 70% delle abitazioni è stato distrutto o reso inagibile. Le infrastrutture civili — ospedali, scuole, acquedotti — sono state bombardate sistematicamente. Le università non esistono più. Le strade sono crateri. L’acqua potabile è quasi inesistente. Il sistema sanitario è collassato. Le scuole sono diventate campi profughi, poi tombe.

Eppure, non si parla di ricostruzione. Si parla di occupazione permanente. Di una “zona cuscinetto”, di un controllo totale da parte dell’esercito israeliano. Non solo: sono circolate voci, mai del tutto smentite, di un possibile piano per trasferire forzatamente fino a 1 milione di palestinesi — circa la metà della popolazione della Striscia — in altri Paesi, o in campi profughi nel Sinai o in Giordania. Un progetto che rievoca i momenti più oscuri della pulizia etnica del Novecento.

Nel frattempo, oltre il 50% della popolazione israeliana non sostiene più la linea di Netanyahu. Cresce il dissenso. Il primo ministro è accusato non solo di aver trasformato Gaza in un deserto umano, ma di non essere riuscito a riportare a casa gli ostaggi.

Molti sospettano che non voglia davvero negoziare la loro liberazione, perché ciò significherebbe dover concludere la guerra. E Netanyahu, di quella guerra, sembra non voler fare a meno, perché è l’unico collante del suo potere traballante.

Il risultato è che, mentre il mondo osserva e spesso tace, i figli della dottoressa Najjar muoiono. E con loro muoiono ogni giorno centinaia di innocenti.

Gaza non è solo un conflitto: è un fallimento morale planetario.

Se l’Europa, gli Stati Uniti, l’Occidente democratico e civile continueranno a voltarsi dall’altra parte, la storia non li assolverà. E non basteranno le parole — pace, equilibrio, sicurezza — a cancellare il sangue.

Soprattutto quello dei bambini.