Gaza, ultimatum a Israele: 25 Paesi (con l’Italia e l’Ue) invocano il cessate il fuoco «immediato e permanente»
Per la prima volta un fronte così ampio chiede lo stop alle ostilità e condanna le politiche israeliane: «Basta violenza sui civili». Netta anche la condanna allo sfollamento forzato dei palestinesi. Fuori Stati Uniti e Germania
È un fronte internazionale senza precedenti quello che si è appena formato contro la gestione israeliana della crisi a Gaza. Per la prima volta, 25 Paesi occidentali e la Commissione europea si schierano in modo compatto chiedendo un “cessate il fuoco immediato, incondizionato e permanente”. Una svolta diplomatica che rompe il silenzio e segna una presa di posizione netta contro Benjamin Netanyahu e la linea dura adottata dal suo governo.
La dichiarazione congiunta porta la firma di 17 Stati membri dell’Unione europea – tra cui Italia, Francia, Spagna, Belgio, Polonia, Irlanda e Svezia – e 8 Paesi extra-Ue come Australia, Canada, Regno Unito, Norvegia, Svizzera e Giappone. A questi si aggiunge Hadja Lahbib, commissaria europea per la Gestione delle crisi. Un’adesione così ampia non si era mai registrata prima su un documento che denuncia in modo esplicito le violazioni di Israele nei territori palestinesi occupati.
Il testo condanna con fermezza “qualsiasi iniziativa volta a modificare il territorio o la demografia dei Territori Palestinesi Occupati”, con chiaro riferimento alla strategia israeliana di espansione coloniale. Si chiede la fine immediata degli insediamenti in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, e si denuncia l’aumento vertiginoso della violenza dei coloni contro la popolazione palestinese. “Questo deve cessare”, affermano i firmatari senza mezzi termini.
Gaza. Fame, silenzio e vergogna: un orrore che riguarda tutti Raid israeliano sulla chiesa cattolica di Gaza: 8 feriti, c’è anche padre RomanelliIl documento si spinge oltre, condannando le proposte israeliane di trasferire i civili palestinesi in aree definite “umanitarie”, etichettate come “totalmente inaccettabili”. “Lo sfollamento forzato permanente è una violazione del diritto internazionale umanitario”, si legge. Parole nette, che segnano una rottura rispetto alla prudenza diplomatica che finora aveva accompagnato ogni intervento sul conflitto.
A colpire è soprattutto il quadro complessivo: un’alleanza transnazionale di Paesi tradizionalmente moderati, uniti nel riconoscere che Israele ha superato il limite. L’assenza di Stati Uniti e Germania – storici alleati dello Stato ebraico – suona ora più fragorosa che mai. Washington, in particolare, resta isolata nel suo sostegno incondizionato a Netanyahu, che rischia di trascinare Israele in un isolamento politico crescente.
La dichiarazione tocca anche la questione umanitaria, definendo “pericoloso e destabilizzante” il modello di distribuzione degli aiuti controllato da Israele. La distribuzione a goccia, si afferma, “priva i cittadini di Gaza della dignità umana”, mentre “l’uccisione disumana di civili, compresi bambini che cercano acqua e cibo”, viene condannata in modo unanime.
Il passaggio forse più rilevante è però quello conclusivo: “Siamo pronti a intraprendere ulteriori azioni per sostenere un cessate il fuoco immediato e un percorso politico verso la sicurezza e la pace per israeliani, palestinesi e l’intera regione”. Un messaggio che suona come un avviso: non si tratta solo di retorica. Se la situazione non cambia, questa volta le parole potrebbero tradursi in atti concreti.
Un segnale fortissimo, che pone Netanyahu sotto pressione. Mai prima d’ora una parte così ampia del mondo occidentale si era esposta con tale compattezza per chiedere lo stop alle ostilità e denunciare le politiche israeliane. Un fronte largo, determinato e – almeno per ora – sorprendentemente unito.
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