Global Sumud Flotilla, notte di fuoco in Tunisia: «Drone colpisce la Family boat, a bordo anche Greta»
Un ronzio, poi l’esplosione. La barca spagnola della Flotilla, con a bordo Greta Thunberg e altri attivisti, colpita nella notte a Sidi Bou Said. Le autorità tunisine parlano di “incendio accidentale”, ma i video raccontano altro
Un ronzio nel buio, il rumore secco di un motore meccanico che si avvicina. Poi, all’improvviso, il boato. La notte tunisina si squarcia in un lampo arancione, le urla risuonano sul ponte e la parola più temuta corre da una parte all’altra della barca: «Fuoco!». È successo tutto in pochi istanti, attorno alla mezzanotte tra domenica e lunedì, quando un drone militare avrebbe colpito la Family boat, una delle ammiraglie della delegazione spagnola della Global Sumud Flotilla, la missione internazionale che punta a rompere simbolicamente l’assedio di Gaza. A bordo, tra gli altri, c’erano la giovane ecoattivista svedese Greta Thunberg, la turca Yasemin Acar e il brasiliano Thiago Avila, volti noti del movimento che da mesi naviga nel Mediterraneo.
Le immagini diffuse dagli stessi attivisti non lasciano spazio a dubbi: un ordigno cala dall’alto, si sente l’impatto, subito dopo un incendio divampa sul ponte. Eppure, poche ore dopo, la versione ufficiale tunisina smorza i toni: «Secondo i primi accertamenti si è verificato un incendio nei giubbotti di salvataggio, non è stato rilevato alcun drone», ha dichiarato Houcem Eddine Jebabli, portavoce della Guardia Nazionale. Una smentita che però non convince nessuno a bordo e che anzi alimenta sospetti e accuse.
La Family boat, battente bandiera portoghese, era ormeggiata a Sidi Bou Said, poco fuori Tunisi, insieme alle altre imbarcazioni della flotta. Era ferma, alla fonda, in attesa di riprendere la navigazione verso la Striscia. «Il drone è arrivato sopra di noi e ha sganciato la bomba, improvvisamente tutto il ponte è andato a fuoco», racconta Yasemin Acar, la stessa che nei mesi scorsi, con Greta, era stata intercettata dall’Idf, portata ad Ashdod, detenuta ed espulsa. «Questa volta ci è andata bene. Stanno tutti bene, le fiamme sono state spente, ma è stato un attacco contro civili, in territorio tunisino».
La barca ha riportato danni gravi: il ponte superiore è bruciato, l’albero maestro lesionato, parte della stiva divorata dalle fiamme. Impossibile proseguire il viaggio nei tempi previsti. La flotta, che pure si era preparata a ogni evenienza, si ritrova ora a dover decidere come riorganizzare la missione. Una nuova barca? L’equipaggio redistribuito tra le altre imbarcazioni? Sono ipotesi ancora allo studio, ma il clima è di rabbia e apprensione.
Non è la prima volta. A maggio, la Al Damir, una vela battente bandiera palestinese, era stata colpita da due droni al largo di Malta e resa inutilizzabile. Per gli attivisti non ci sono dubbi: «È una strategia per intimidire, per fermare una missione civile e pacifica», denuncia ancora Acar. «Ma non ci fermeranno. Il nostro obiettivo resta rompere simbolicamente l’assedio su Gaza e mostrare solidarietà al suo popolo».
A rendere il quadro ancora più teso, le recenti minacce del ministro israeliano Ben Gvir, che aveva definito la Flotilla «una provocazione che non sarà tollerata». Nessuna prova diretta collega l’attacco della notte a Israele, ma nei racconti degli attivisti l’ombra dell’intervento israeliano aleggia pesante.
Intanto la Tunisia, che ha aperto un’inchiesta, cerca di contenere l’incidente. Fonti locali parlano di «cautela necessaria» per non innescare una crisi diplomatica, ma i video diffusi sui social hanno già fatto il giro del mondo e raccontano un’altra verità. Le immagini mostrano chiaramente un velivolo in avvicinamento, poi l’esplosione sul ponte.
Per la Global Sumud Flotilla è la prima notte di paura vera, ma tutti sanno che non sarà l’ultima. L’idea stessa di mettere in mare decine di barche, con equipaggi civili e figure note come Greta Thunberg, è nata nella consapevolezza che incidenti, sabotaggi e intimidazioni fossero possibili. Stavolta, però, il rischio è diventato realtà.
L’alba, a Sidi Bou Said, porta con sé l’odore acre del fumo che ancora aleggia attorno allo scafo annerito della Family boat. Sul molo, attivisti stanchi e arrabbiati discutono il da farsi. Qualcuno parla di “atto di guerra”, altri di “terrorismo di Stato”. Tutti, però, condividono lo stesso messaggio: «Non ci fermeranno. Non un passo indietro».
Mentre la barca danneggiata viene messa in sicurezza, le altre riprendono i preparativi. Gaza resta lontana, ma la rotta è segnata. Per la Flotilla, questa è solo la prima battaglia di un viaggio che si annuncia lungo e pieno di insidie.