Il caso di Alberto Trentini, da un anno prigioniero in Venezuela e ostaggio di un instabile triangolo geopolitico
L’operatore umanitario italiano rischia di diventare una pedina nello scontro tra Maduro e Trump. L’Italia, finora debole sul piano diplomatico, può rientrare nei negoziati per ottenerne la liberazione e fare pressione su Washington per fermare l’escalation in Sud America
Alberto Trentini è un nome che fino a poco tempo fa diceva poco alla maggior parte degli italiani. D’altronde, la sua prigionia in Venezuela è diventata mediatica solo da qualche mese, quando – in realtà – il 46enne operatore umanitario originario di Venezia è prigioniero nel Paese sudamericano da esattamente un anno.
Il 15 novembre 2024 Trentini veniva infatti fermato e arrestato a un posto di blocco mentre si spostava da Caracas a Guasdualito insieme al suo autista. Era arrivato in Venezuela nel mese di ottobre con la ong Humanity & Inclusion, che fornisce sostegno a persone emarginate con disabilità.
Le ragioni del suo arresto sembrano inserirsi in un quadro più ampio: quello della strategia repressiva del regime di Nicolás Maduro, che da anni utilizza la cosiddetta “politica delle porte girevoli”, imprigionando cittadini stranieri per ottenere leve politiche e diplomatiche. In tal senso, l’accusa di cospirazione mossa a Trentini appare per molti osservatori poco credibile e chiaramente strumentale.
Un’inchiesta giornalistica del Domani ha inoltre messo in luce una coincidenza significativa: uno dei più noti oppositori di Maduro, Rafael Ramírez, ex dirigente della compagnia petrolifera statale Pdvsa, vive da tempo in Italia come rifugiato politico. A settembre 2024 Ramírez era stato indagato dalla magistratura italiana per peculato e riciclaggio, ma il procedimento si è concluso con un’archiviazione. Poche settimane dopo, l’arresto di Trentini in Venezuela ha alimentato l’ipotesi che la sua detenzione possa rientrare in un gioco di pressioni incrociate tra Caracas e Roma.
Il trade union con gli Stati Uniti e la possibile escalation in Venezuela
La detenzione di Alberto Trentini si colloca oggi al centro di un delicato intreccio geopolitico che coinvolge direttamente anche gli Stati Uniti. L’amministrazione Trump ha aumentato la pressione su Maduro, dispiegando navi da guerra vicino alle coste venezuelane e alimentando il timore di una possibile operazione militare. In questo clima di tensione crescente, detenere un cittadino europeo – e in particolare italiano (visto l’asse Washington-Roma) – offre a Caracas una preziosa leva negoziale.
Per questo l’Italia si trova ora davanti a un bivio. Dopo mesi di sostanziale inattività diplomatica, Roma può scegliere se mantenere una posizione prudente – posizione in realtà già assunta, visto che Trentini è riuscito a parlare con la famiglia solo a maggio 2025, dopo sei mesi di silenzio forzato – oppure assumere un ruolo più incisivo, cercando di influenzare tanto il governo venezuelano quanto quello statunitense.
L’Italia, infatti, potrebbe diventare un interlocutore utile per convincere Trump ad allentare la retorica bellicista e, allo stesso tempo, per incoraggiare Maduro a rivedere la sua strategia. Una posizione più forte e coordinata potrebbe non solo contribuire alla liberazione di Trentini, ma anche scongiurare un’escalation militare che rischierebbe di destabilizzare ulteriormente l’intero continente sudamericano.