Il caso Signorini travolge Mediaset: silenzi pesanti e strategie di potere. Ora il fango rischia di salire ai piani alti
Lettere rassicuranti, comunicati calibrati, un avvocato calabrese e una narrativa ribaltata: la crisi non riguarda solo un conduttore, ma l’intero sistema che per anni ha protetto l’immagine della famiglia Berlusconi
C’è una storia che negli ultimi giorni ha travolto Mediaset e che non può più essere liquidata come un normale scandalo televisivo. È la vicenda che coinvolge Alfonso Signorini, le accuse esplose pubblicamente, il silenzio ostinato del gruppo, la lettera dolce e rassicurante di Marina Berlusconi su Chi in piena tempesta, i primi comunicati prudenti del conduttore, l’offensiva giudiziaria inizialmente impostata sul revenge porn e poi bruscamente archiviata, il cambio di avvocati con l’arrivo di due figure pesantissime, il nuovo lessico difensivo improntato sulla “campagna diffamatoria”, fino alla sospensione — chiamata “decisione personale”, ma di fatto inevitabile — dagli impegni editoriali. Intorno, un’unica costante: il fango che sale, il silenzio che pesa, la crescente consapevolezza che questa non è più solo una questione mediatica, ma un problema strutturale per la famiglia Berlusconi e per il sistema di potere che per anni ha raccontato se stesso proteggendosi attraverso lui.
Insomma, c’è un prima e un dopo nello scandalo che ha travolto Alfonso Signorini e, di riflesso, Mediaset. E il punto non è capire se sarà Michelle Hunziker o Ilary Blasi a condurre il prossimo Grande Fratello e se il reality sopravvivrà.
Ridurre tutto a un problema di palinsesto sarebbe comodo, rassicurante, persino consolatorio. Ma qui il nodo è strutturale. Signorini non è mai stato solo un conduttore, un direttore o un simbolo dell’intrattenimento: per anni ha rappresentato una funzione di sistema, il luogo in cui i segreti restavano protetti, le fratture venivano tradotte in racconto, le tensioni trasformate in narrazione dolce. Era insieme filtro, parafulmine e custode. Ora che la sua posizione si è incrinata, ciò che preoccupa davvero non è il silenzio imposto, ma ciò che potrebbe rompere quel silenzio. Perché se cade il collettore, il rischio è che si rompa anche l’argine. E a quel punto il fango non resta mai dove nasce. E può schizzare fino ai piani più alti cancellando sogni di discesa in campo e immagini costruite per decenni.
È un pasticciaccio brutto. Non solo perché coinvolge uno dei volti più riconoscibili della televisione italiana, Alfonso Signorini, e uno dei personaggi più divisivi e ingombranti del panorama mediatico, Fabrizio Corona. Ma perché travolge Mediaset, tocca il cuore simbolico del sistema berlusconiano e costringe la famiglia che governa il gruppo a misurarsi con qualcosa di più profondo di un “caso televisivo”. Qui non sarebbe in gioco solo un conduttore. Sarebbe in discussione un metodo. Una narrazione. Un’architettura di potere costruita nel tempo e protetta con cura.
Fino a pochi giorni fa la linea è stata il silenzio. Un silenzio pesante, scelto, strategico. Mediaset ha cercato di attraversare la tempesta senza esporsi, confidando forse nel fatto che il clamore si sarebbe sgonfiato e che la macchina di fiducia consolidata negli anni avrebbe retto l’urto. Anzi, mentre il caso esplodeva, nel numero di Chi uscito il 24 dicembre 2025, nel pieno delle polemiche e delle accuse pubbliche, Marina Berlusconi firmava una lunga lettera celebrativa per il trentennale della rivista. Una lettera istituzionale, elegante, apparentemente fuori dal tempo. Ma pubblicata nel momento meno neutro possibile.
In quel testo, Marina Berlusconi, presidente Mondadori ed editrice di Chi, ricostruiva la storia del settimanale e ringraziava chi lo aveva reso nel tempo un marchio riconoscibile. E lì arrivava il passaggio su Signorini. Nessun riferimento diretto allo scandalo, nessuna parola sulle accuse che intanto occupavano le cronache. Ma una frase che, per la tempistica, suonava come un’investitura implicita, quasi una difesa. Ricordava “la brillante stagione di Alfonso Signorini” alla guida del giornale, sottolineava la continuità della sua presenza come direttore editoriale e ribadiva l’idea di un “gossip di qualità”, rispettoso e non distruttivo. In tanti, dentro e fuori l’azienda, l’hanno letta come un segnale chiaro: casa Berlusconi, almeno in quel momento, sembrava stare dalla parte del suo direttore senza se e senza ma.
Questo scandalo non sarebbe percepito come uno scivolone mediatico, ma come una minaccia strutturale. Non si tratterebbe solo di difendere un volto, ma di proteggere un racconto che per anni ha blindato la famiglia Berlusconi meglio di qualsiasi strategia industriale. Chi conosce le dinamiche interne racconta che la preoccupazione non riguarderebbe solo il danno reputazionale: il timore più grande sarebbe quello che, se Signorini decidesse di “aprire davvero il libro nero”, potrebbe tirare fuori segreti, legami, fragilità in grado di rendere politicamente e mediaticamente ingestibile qualsiasi futuro progetto dei due eredi. Un potenziale terremoto.
Qui, dicono fonti vicine al gruppo, Marina e Pier Silvio sarebbero su due linee diverse. Lei, più garantista, orientata alla difesa, alla tenuta, al tempo che passa e depotenzia. Lui, più nervoso, più industriale, più orientato a proteggere il brand anche a costo di sacrifici dolorosi. L’idea che circolerebbe è semplice: prendere tempo, allontanare Signorini, abbassare decibel e visibilità, blindare l’azienda e aspettare che la giustizia e le carte ufficiali tolgano ossigeno a Corona. Ma senza traumi pubblici. Senza rotture fragorose. Senza processi mediatici interni.
Per capire perché questa vicenda pesa così tanto bisogna ricordare che Signorini non è stato solo un conduttore di reality. È stato il custode di una narrazione. Il tramite fra potere e spettacolo. L’uomo che trasformava le zone d’ombra in atmosfera, le fragilità in racconto empatico, le domande scomode in “umanità”. Chi non è stato solo un giornale di gossip. È stato il santuario di quella narrazione: un dispositivo di protezione. Lì la famiglia Berlusconi non era mai un potere, era una saga sentimentale. Non influenza: affetti. Non conflitto: quotidianità patinata. Era un modo per togliere peso politico a ciò che politico sarebbe stato per natura.
Pier Silvio davanti al cortocircuito Signorini-Corona: due facce dello stesso circo e una sola domanda che conta davvero per MediasetSe oggi basta il detonatore Corona per far crollare tutto, significa che la struttura era più fragile di come sembrava. La verità è che il vecchio frame non regge più. Perché il mondo è cambiato. Perché l’idea di potere raccontato solo come epica familiare non funziona più. E perché questa volta l’assalto non arriva da fuori, ma dall’interno del linguaggio televisivo stesso.
La svolta arriva improvvisa: meno di 48 ore dopo la lettera zuccherata di Marina, Signorini annuncia la sua autosospensione cautelativa da Mediaset. Una decisione presentata come personale, ma letta quasi da tutti come frutto di pressioni fortissime. Mediaset in un comunicato che è impossibile non leggere a firma Pier Silvio, accoglie, prende atto, ringrazia e promette verifiche basate su “fatti oggettivi”. Toni sobri, comunicato asciutto, ma fra le righe si legge un messaggio chiarissimo: il gruppo deve proteggere sé stesso, i suoi prodotti, la sua reputazione. E chi lavora in azienda deve attenersi a principi di “correttezza e trasparenza”. Non è un abbraccio. È una presa di distanza controllata.
Corona, ovviamente, attacca. Parla di silenzi omertosi, di sistema che si protegge “Costretto a sospendersi dai padroni che rimangono nel silenzio omertoso, come quasi tutta la stampa, vergogna" E mentre lui rilancia, altri pezzi si muovono. Gabriele Parpiglia svela che i provini del Grande Fratello sono ripartiti da zero a Roma, con nuova gestione. Segno che il sistema starebbe già preparando una vita senza Signorini. E questo, se confermato, peserebbe come un macigno.
Ed è qui che entra in scena il passaggio più emblematico di tutti: il cambio totale di strategia legale. All’inizio la difesa era affidata al penalista Andrea Righi. E la linea? Devastante ma chiarissima: revenge porn. Videi intimi. Materiale privato. Accuse massicce contro Corona e altri eventuali soggetti. Righi dichiarava: “L’indagato non è il dottor Signorini” e aggiungeva che la diffusione e perfino la ricezione di video sessuali lo trasformava in vittima di un crimine gravissimo. Strategia aggressiva. Ma colossale bomba mediatica.
Una bomba che in casa Mediaset ha fatto gelare il sangue. Perché le immagini di Signorini vestito da infermierina in lattice ha fatto rizzare i capelli sulla testa a Berlusconi. Dire revenge porn significa una sola cosa: settimane, mesi, forse anni a discutere di video pornografici, atti sessuali, chat private, “infermierine”, rapporti di dominio, ricatti emotivi, materiale esplicito su cui la televisione commerciale di casa Berlusconi sarebbe stata costretta a vivere, respirare, difendersi. Un inferno. Un suicidio d’immagine. Non è l’orizzonte che Pier Silvio vuole per la sua rete “familiare”.
E così succede ciò che solo chi non conosce il potere può definire casuale: Righi scompare. Arrivano loro. Daniela Missaglia e Domenico Aiello. E qui la storia si fa seria.
Missaglia non è semplicemente un grande avvocato civilista. È una donna che orbita nel mondo che conta davvero. È la legale che ha difeso Nina Moric contro Fabrizio Corona. È la legale che ha difeso Chiara Ferragni. È la socia di Valeria De Vellis, nome che pesa come una cattedrale nella storia della famiglia Berlusconi. È la donna che ha affiancato chi, nel passato, ha gestito la tempesta emotiva e politica del divorzio di Silvio Berlusconi da Veronica Lario. È una professionista che il mondo berlusconiano conosce, stima, utilizza quando serve qualcuno che capisce il potere e i suoi equilibri.
Poi c’è lui. Domenico Aiello. Calabria in primo piano, perché qui non scriviamo solo per l’Italia, ma per una terra che sa cosa significa intreccio fra potere, politica e giustizia. Aiello è calabrese. È uno che la politica la mastica, la capisce, la difende. È l’avvocato che ha difeso Roberto Maroni. È l’avvocato che ha difeso Roberto Calderoli. È un uomo abituato a entrare in guerra su terreni infuocati, dove ogni parola è benzina e ogni frase sbagliata è detonatore. È oggi volto televisivo, ospite fisso, difensore mediatico di personalità esposte come l’ex procuratore di Pavia Mario Venditti. È uno che sa trasformare una battaglia giudiziaria in una partita di controllo pubblico della narrazione.
E che cosa succede quando arrivano Missaglia e Aiello? Il revenge porn evapora. La linea diventa improvvisamente “classica”: “campagna calunniosa e diffamatoria”, “agiremo senza indugio”, “distruzione dell’onorabilità”, “responsabilità di sponsor, piattaforme, motori di ricerca”. È la prima grande prova del nuovo assetto: stop pornografia giudiziaria. Torniamo alla difesa istituzionale. Torniamo al potere che si chiude, si blinda, pretende silenzio e chiede che intorno a questa vicenda scenda un manto di ovatta.
È difficile non leggere dietro tutto questo la mano della famiglia. Difficile non vedere una regia che prova a riportare questo scandalo dentro una dimensione controllata, eliminando l’aspetto più pornografico e cercando di ridurre tutto a uno scontro giudiziario tradizionale.
Ma il problema resta. E riguarda Marina e Pier Silvio più di chiunque altro. Perché questa vicenda non chiede solo una soluzione. Chiede una scelta. O si continua a proteggere il passato, tentando di mantenere viva la narrazione rassicurante costruita in anni di potere mediatico. Oppure si accetta che quella stagione è finita e si entra in un campo nuovo: quello in cui Mediaset smette di essere casa e diventa azienda. Dove le storie non sono più coperte, ma affrontate. Dove il conflitto non è più nascosto sotto un sorriso patinato.
Per ora la linea è di contenimento: sospensione di Signorini, riorganizzazione del GfVip, difesa legale calcolata, comunicati istituzionali e presa di distanza graduale. Ma questa è solo la fase uno. La seconda, quella vera, deve ancora iniziare. E allora questa non è solo una storia televisiva. È una storia di potere. È la fine di un patto. È il tramonto della narrazione che ha salvato Mediaset per decenni. Quella che raccontava il potere come affetto e la potenza come famiglia. Quella in cui la responsabilità evaporava dentro la confidenza glamour.
Ora quel racconto non basta più. Ora servono decisioni vere. Perché qui, più di ogni altra cosa, è finita l’epoca in cui bastava un sorriso patinato su Chi per nascondere tutto. Ora il potere deve fare ciò che odia di più: mostrarsi. E i Berlusconi dovranno decidere chi vogliono essere in futuro: eredi che custodiscono un mito o dirigenti che accettano di vivere nel presente.