Il numero dei morti in Ucraina e Russia resta il fronte più impenetrabile della guerra: tra silenzi, stime e cimiteri che si allargano
Da quasi quattro anni il dato più sensibile del conflitto è anche il più inaccessibile. Archivi bloccati, elenchi indipendenti, intelligence occidentali e migliaia di tombe: frammenti che raccontano una tragedia umana che nessuna delle due capitali vuole ammettere
In questo conflitto esiste un fronte che nessun esercito rivendica, una linea invisibile che attraversa tanto Mosca quanto Kiev: il numero reale dei caduti. Dopo quarantacinque mesi di guerra, nessuno dei due governi ha fornito un bilancio verificabile. Il dato è trattato con la stessa cautela delle informazioni strategiche, come se rivelarlo significasse ammettere la fragilità delle proprie linee o, peggio, incrinare il consenso interno. Il silenzio, però, non cancella la realtà. La lascia solo filtrare attraverso indizi, frammenti, cimiteri che crescono, necrologi che si moltiplicano, liste indipendenti che tentano di restituire un nome a chi è caduto in battaglia.
L’impressione più immediata arriva dai luoghi dove le famiglie salutano i propri morti. In Ucraina, entrando dalla Polonia, il primo grande cimitero militare è quello di Leopoli. Le tombe dei soldati, prima affiancate a quelle civili, hanno cominciato a espandersi oltre i perimetri, occupando terreni nuovi, file dopo file. È il segno tangibile di un prezzo umano che nessuna comunicazione ufficiale vuole raccontare. Quello che si osserva qui, come in molti altri luoghi del Paese, rende evidente una realtà: il ritmo delle perdite ha superato ogni previsione iniziale.
Le stime del Center for Strategic and International Studies, diffuse a giugno, offrono un quadro impressionante: 1,4 milioni tra morti e feriti gravi. Secondo il think tank, un milione sarebbero russi — con circa 250 mila deceduti — e oltre 400 mila ucraini, con un numero di caduti compreso tra sessantamila e centomila. A queste valutazioni si aggiungono quelle riferite dal presidente Donald Trump: ventimila russi e cinquemila ucraini uccisi ogni mese. Anche adottando criteri estremamente cauti, il totale dei morti e dei mutilati supererebbe il milione e seicentomila. Una cifra che, se confermata, rappresenterebbe una delle più vaste perdite umane in un conflitto europeo dalla Seconda guerra mondiale.
Sul lato russo, alcune informazioni indirette arrivano dal Rosstat, l’ufficio di statistica nazionale. I suoi dati, analizzati dalla redazione indipendente Meduza, indicano tra 200 e 220 mila militari russi morti fino alla metà del 2025. Un numero a cui si aggiungono 30-40 mila dispersi per i quali le famiglie hanno avviato le procedure legali per la dichiarazione di morte presunta. Da mesi, però, i bollettini del Rosstat non vengono più pubblicati: un’interruzione che ha costretto osservatori e giornalisti a rivolgersi a fonti alternative. Tra queste, la lista costruita da Mediazona, Bbc News Russian e da un collettivo di volontari: 140 mila nomi verificati attraverso necrologi, archivi locali, memoriali digitali. Numeri che non possono essere esaustivi, ma che testimoniano una perdita costante.
Il fronte ucraino presenta la stessa opacità. L’unica cifra ufficiale resta quella fornita dal presidente Volodymyr Zelensky nel febbraio 2025: “oltre 46 mila” soldati uccisi. Un dato che appare distante dalle valutazioni parallele di Lostarmour.info e UALosses.org, portali filo-russi che hanno raccolto circa settantamila nomi incrociando annunci funebri e registri pubblici. L’elemento più problematico, però, riguarda gli ottantamila dispersi ucraini di cui non si conosce la sorte. Il blogger Yurii Butusov, spesso ben informato sulle dinamiche delle forze armate, ritiene che almeno 35 mila di loro siano caduti. Le immagini provenienti dal fronte — soldati rimasti sul terreno per giorni, prive di recupero — confermano che la raccolta dei corpi è spesso impossibile nelle zone più esposte.
A rendere ancora più complicata la ricostruzione ci sono gli scambi di cadaveri. Dai negoziati di Istanbul sono tornati in Ucraina 6.057 corpi, mentre la Russia sostiene di averne ricevuti solo settantotto. Una sproporzione che apre interrogativi sulla gestione dei dispersi e sull’identificazione delle salme. Intanto, a Kiev la giustizia militare ha aperto 65 mila procedimenti per diserzione dall’inizio dell’invasione: un numero che non coincide necessariamente con altrettanti fuggiti, ma che indica una pressione crescente sulle truppe. In Russia, i casi accertati sarebbero meno di ventimila, nonostante perdite più consistenti nelle offensive degli ultimi mesi.
Uno dei fattori che ha trasformato la guerra è l’uso sistematico dei droni. La fascia di terreno che separa i due eserciti — tra venti e quaranta chilometri di profondità — è diventata una zona di morte in cui i movimenti sono ridotti al minimo. I quadricotteri armati, in grado di colpire soldati e mezzi con estrema precisione, avrebbero causato l’ottanta per cento dei caduti di entrambe le parti. In queste condizioni la medicina militare tradizionale è quasi impotente: l’“ora d’oro”, il tempo cruciale per salvare i feriti, è in gran parte irraggiungibile. Le ambulanze vengono attaccate, i soccorritori sono presi di mira, e spesso chi è colpito non ha possibilità di essere evacuato.
Nelle offensive più recenti, le perdite russe appaiono particolarmente elevate. Il comandante ucraino Robert “Magyar” Brovdi, tra i promotori delle tattiche basate sui droni, ha dichiarato che nel solo ottobre i suoi operatori hanno colpito 8.060 soldati russi, uccidendone 4.729. Secondo alcune analisi di Kiev, durante le fasi di massima intensità Mosca potrebbe perdere fino a trecento uomini al giorno. Il ministero della Difesa ucraino fornisce cifre più alte, spesso percepite come parte della comunicazione di guerra, ma comunque indicative dell’intensità dei combattimenti.
Il bilancio complessivo, pur nel mosaico di fonti, suggerisce una conclusione chiara: la Russia avrebbe perduto oltre 300 mila uomini dall’inizio dell’invasione, superando i morti dell’intervento sovietico in Afghanistan e quelli delle due guerre cecene. L’Ucraina, con una popolazione più ridotta, soffre un impatto proporzionalmente simile, ma con un margine infinitamente più ristretto per sostituire le perdite. Mosca può contare su 33 milioni di uomini teoricamente arruolabili; Kiev su circa sei milioni. È lo squilibrio demografico a conferire alla guerra il suo paradosso più crudele: chi perde di più può permettersi di continuare più a lungo. Ed è forse questa la ragione profonda del silenzio che avvolge i numeri, il motivo per cui né Mosca né Kiev vogliono che il vero bilancio dei morti diventi pubblico.