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24/04/2025 ore 14.35
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Il Papa che non voleva tubi né bugie: Francesco e l’ultima notte a Santa Marta con l’infermiere che era diventato famiglia

Dietro la figura del Pontefice c’era l’uomo Jorge Mario Bergoglio. Quello che sgattaiolava in cucina di notte, che non sopportava l’intubazione e che si fidava solo di un infermiere. È morto a casa, come voleva, e senza dolore. Ma la sua ultima volontà è stata una lezione per tutti

di Luca Arnaù

Il Papa che diceva “buonasera” dal balcone. Il Papa che telefonava di notte. Il Papa che non amava le formalità e neppure gli ospedali. Jorge Mario Bergoglio se n’è andato così, come aveva vissuto: senza retorica, senza sconti, senza bugie. Fedele al suo stile, fino in fondo. E anche un po’ testardo.

Lunedì mattina, attorno alle cinque, si è svegliato per chiedere un bicchiere d’acqua. L’infermiere Massimiliano Strappetti era con lui, come sempre. Da settimane dormiva a Santa Marta, pronto a intervenire in ogni momento. Francesco ha bevuto, si è girato su un fianco. Pochi minuti dopo non rispondeva più. Quando i medici sono arrivati, respirava ancora. Poi, il silenzio. Il cuore ha ceduto. La morte, dolce, è arrivata senza preavviso. Ma non senza preparazione.

Il Papa aveva chiesto tutto. Tranne l’intubazione. Era successo già nel 2021, dopo il primo intervento al colon. Lo disse allora, lo ripeté nel 2023, dopo la seconda operazione. E lo ha confermato anche nell’ultimo ricovero. “Se andrò in coma, niente terapia intensiva. Mi rifiuto”. Il suo medico personale, il professor Sergio Alfieri del Gemelli, ha raccontato che la volontà di Francesco era chiara: nessun accanimento, nessuna forzatura.

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«Aveva paura dell’intubazione», spiega Alfieri. «Non del dolore, ma della dipendenza. Temeva di finire in un letto, con un tubo in gola, senza poter comunicare, senza poter essere se stesso». Così ha chiesto che ogni decisione, in caso di emergenza, spettasse a Massimiliano Strappetti. «Per lui era come un figlio. Se Strappetti diceva di sì, Francesco accettava. Altrimenti no. E noi dovevamo fermarci».

Una scelta dura. Ma lucida. Aveva il cuore fragile, i polmoni affaticati da una serie di infezioni ricorrenti. Ogni giorno era diventato una prova. Eppure, non aveva perso il suo spirito.

Era rimasto ironico, vivo, goloso: «Dopo l’intervento, gli avevamo prescritto una dieta - racconta Alfieri - Ma Francesco amava mangiare. Di notte sgattaiolava fuori dalla stanza, si infilava le ciabatte e andava in cucina. Cercava uno snack. A volte, un pezzo di torta. Una notte mi ha detto: “Dottore, hai ragione su tutto. Ma ricordati che vivere con ironia è l’unico modo per non morire prima”».

Aveva preso peso, sì. Una decina di chili. Ma si sentiva più forte. E soprattutto più libero. La libertà era sempre stata la sua ossessione: non solo per la Chiesa, ma per sé stesso.

Sabato, due giorni prima di morire, Alfieri era andato a trovarlo. Il Papa era di buon umore, parlava dei detenuti di Regina Coeli. Era dispiaciuto di non aver lavato loro i piedi, come avrebbe voluto. Ma era sereno. «Era lucidissimo. Mi ha ringraziato. E ha detto una frase bellissima: “Mi dispiace di non avercela fatta. Ma almeno ho provato”. È stata l’ultima cosa che mi ha detto. Una voce sottile, ma limpida».

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Poi, la notte. L’acqua. Il silenzio. Il fiato che si spezza. Hanno valutato l’ipotesi di trasportarlo al Gemelli. Ma sarebbe morto in ambulanza. Non ce l’avrebbe fatta. Così hanno rispettato il suo desiderio più forte: restare a Santa Marta. “A casa mia”, diceva sempre. Non “in Vaticano”. Non “nella residenza”. Proprio casa.

Lì dove aveva vissuto gli ultimi undici anni. Lì dove aveva ricevuto, riso, pianto, chiamato i suoi amici al telefono, cucinato per gli ospiti. Lì dove aveva amato.

«Era un uomo che viveva il dolore come parte della vita», dice ancora Alfieri. «Ma non lo lasciava vincere. Era testardo, e sapeva esserlo anche con noi. Quando gli dicemmo di restare a riposo due mesi, lui ci diede tre settimane. Alla fine, convocò tutto il personale del Gemelli. Settanta persone. Disse grazie a ognuno. Io cercai di dissuaderlo. Mi disse “Grazie” tre volte. Alla terza, capii che ero stato congedato».

È morto con gli occhi aperti, guardando nel vuoto. Ma non aveva più paura. Aveva già fatto tutto. Scelto tutto. Detto tutto. Aveva preso commiato senza commiati, con quell’umorismo che lo aveva sempre accompagnato. Come quando, dopo il secondo intervento, scherzava con Alfieri sul fatto di essere “troppo grasso per salire sulla sedia a rotelle senza aiuto”. Come quando sgridava Strappetti perché gli toglieva il dolce dal vassoio. Come quando — e capita anche ai Papi — faceva finta di dormire pur di non prendere le medicine.

Il Papa che non voleva vivere oltre il necessario. Il Papa che non sopportava l’idea di farsi prolungare la vita a forza. Il Papa che amava la semplicità e odiava i macchinari.

Alla fine, ha avuto l’unica cosa che chiedeva davvero: morire da uomo. Non da malato. Non da paziente. Non da prigioniero di un tubo. Ma da se stesso. Jorge Mario Bergoglio, Papa Francesco. Goloso. Disobbediente. Testardo. E sempre, profondamente, vivo.

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