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16/05/2025 ore 07.06
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In Arabia Saudita una partita a scacchi da un trilione di dollari. In primo piano AI, armi e superpotenze digitali

A Riyadh è andato in scena un vertice del potere reale: al tavolo con Trump e il principe ereditario bin Salman le teste dei colossi dell’industria americana. Una trattativa per riscrivere le regole del gioco globale

di Redazione Esteri

Donald Trump è tornato alla Casa Bianca e la sua prima grande mossa geopolitica non è passata per Bruxelles o Pechino. È passata per Riyadh.

Nessuna passerella diplomatica. Nessun vertice rituale. Quello andato in scena in Arabia Saudita è stato un vertice del potere reale – economico, tecnologico, strategico. Nella sala del trono saudita non c’erano solo Donald Trump e il principe ereditario Mohammed bin Salman. Attorno al tavolo sedevano anche i vertici di OpenAI, NVIDIA, Amazon Web Services, BlackRock, Tesla, Palantir e altri colossi chiave dell’industria americana. Non una missione di cortesia, ma una trattativa ad alta tensione per riscrivere le regole del gioco globale.

Secondo fonti vicine all’accordo, l’obiettivo è chiaro: un nuovo ordine economico e tecnologico fondato su un patto di ferro tra Stati Uniti e Arabia Saudita, capace di ridisegnare gli equilibri industriali mondiali.

Le cifre sul tavolo parlano da sole, anche se le fonti non sono sempre allineate: $1.000 miliardi di investimenti bilaterali in infrastrutture, difesa, energia, AI, data center e manifattura; $142 miliardi in armamenti americani, il più grande pacchetto militare firmato da un’amministrazione Usa con Riad; oltre $ 80 miliardi in tecnologie emergenti: cloud, intelligenza artificiale, semiconduttori, sistemi di sorveglianza; $ 20 miliardi da DataVolt per realizzare una rete di data center AI sul suolo americano. E secondo alcune fonti, oltre $ 500 miliardi già impegnati nella “fase uno” dell’accordo, con tempistiche accelerate: 72 ore per firmare i primi memorandum.

Al centro dell’intesa, un baratto di nuova generazione: capitale per influenza, tecnologia per accesso, sicurezza per supremazia digitale.

La dottrina è chiara da entrambi i lati: Trump rilancia il mantra “America First”, ma con una variante: fabbriche e posti di lavoro made in Usa finanziati da petrodollari sauditi. Le aziende tech americane portano competenze e tecnologie, Riad mette sul piatto liquidità e mercati. Mbs rilancia “Silicon Dune”, il progetto di fare dell’Arabia Saudita la nuova capitale mondiale dell’AI, del cloud, delle smart city e della difesa hi-tech. Neom, la città futuristica nel deserto, ne è il simbolo. Ma il vero obiettivo è più ambizioso: entrare nel codice sorgente dell’economia del XXI secolo.

Non si tratta solo di business. È una questione di poteri sovrani. Chi controllerà i dati, l’energia computazionale e l’infrastruttura digitale avrà un vantaggio schiacciante nella nuova Guerra Fredda tecnologica – contro la Cina, ma anche all’interno dell’Occidente stesso.

Questo asse Usa-Arabia Saudita non nasce solo per ragioni economiche, ma per costruire un’alleanza strategica nell’epoca dell’intelligenza artificiale. Un’alleanza che bypassa l’Europa, mette in crisi la leadership cinese nel Sud globale e propone un nuovo modello: autocrazie liquide con partnership selettive nei settori chiave.

Il messaggio più forte è simbolico. Il futuro dell’intelligenza artificiale, dell’industria e della sicurezza non si giocherà più soltanto nella Silicon Valley.

Si giocherà dove ci sono energia, dati e potere geopolitico. E oggi, Riyadh ha tutto questo – più un accesso privilegiato a Wall Street e alla nuova Casa Bianca. Mohammed bin Salman non vuole essere un cliente dell’Occidente. Vuole essere co-architetto del nuovo ordine tecnologico globale. E in cambio offre ciò che ogni superpotenza cerca: stabilità finanziaria, influenza regionale e infrastrutture di calcolo alimentate da energia a basso costo.

Trump ha colto il segnale. E ha risposto con un’alleanza che promette di riscrivere le regole della globalizzazione tecnologica.