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08/10/2025 ore 21.20
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Israele contro il Vaticano: «Il cardinale Parolin mina gli sforzi di pace». Leone XIV replica e invita a «ridurre l’odio»

Alla vigilia del suo primo viaggio in Turchia e Libano, il Papa sceglie la via della fermezza: «Sono morti milleduecento israeliani e sessantasettemila palestinesi, ma nessuna guerra può cancellare la dignità dell’uomo». L’arcivescovo Paglia: «Non esistono vittime di serie A e di serie B»

di Luca Arnaù

Quando Leone XIV lascia Villa Barberini per tornare nel pomeriggio a Roma, sa già che davanti ai cancelli di Castel Gandolfo lo attendono le domande più scomode. È appena esplosa una nuova tensione tra Israele e la Santa Sede, e il suo nome – anzi, quello del suo Segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin – è finito nel mirino di Tel Aviv.

L’ambasciata israeliana presso la Santa Sede, con una nota diffusa ieri mattina, ha accusato il Vaticano di aver “minato gli sforzi di pace e la lotta all’antisemitismo”, contestando al cardinale Parolin di aver posto “un’equivalenza morale” tra l’attacco di Hamas del 7 ottobre e la risposta militare israeliana nella Striscia di Gaza. Una dichiarazione secca, insolita nei toni e nelle parole: “L’intervista al cardinale Parolin, sebbene sicuramente ben intenzionata, rischia di compromettere il lavoro diplomatico per fermare la guerra”. Tel Aviv accusa in particolare l’uso del termine “massacro” per descrivere sia l’attacco di Hamas sia le operazioni dell’esercito israeliano, e ribadisce che “non esiste alcuna equivalenza morale tra uno Stato democratico che difende i suoi cittadini e un’organizzazione terroristica che vuole annientarli”.

Il Vaticano ha scelto di non replicare con un comunicato ufficiale, ma Leone XIV – il Pontefice americano, eletto da pochi mesi – ha risposto di persona, con la calma che lo contraddistingue. Dopo aver ascoltato la domanda dei cronisti, ha sorriso appena e ha detto: «Preferisco non commentare. Il cardinale Parolin ha espresso molto bene la posizione della Santa Sede». Poi, con tono pacato ma fermo, ha aggiunto parole che pesano come pietre: «Il 7 ottobre di due anni fa morirono milleduecento persone nell’attacco terroristico di Hamas. In questi due anni, sessantasettemila palestinesi hanno perso la vita sotto le bombe. Dobbiamo chiederci quanta violenza è ancora capace l’uomo. Bisogna ridurre l’odio, tornare al dialogo, cercare la pace».

Un richiamo che non è solo morale, ma geopolitico. Perché arriva a poche settimane dal suo primo viaggio internazionale, che lo porterà dal 27 novembre al 2 dicembre in Turchia e in Libano: due Paesi-chiave del Mediterraneo, entrambi al centro del nuovo equilibrio postbellico. In Vaticano, la tensione con Israele viene letta come il riflesso di una partita più ampia. Spiega a La Stampa l’arcivescovo Vincenzo Paglia, voce autorevole della Curia e presidente emerito della Pontificia Accademia per la Vita: «A non poter essere equiparate non sono le religioni, ma l’uccisione di donne e bambini innocenti rispetto alla lotta al terrorismo. Per la cultura umanistica ogni persona ha una dignità assoluta, e confondere il piano militare con la strage di civili è inaccettabile». Paglia prosegue: «È fuori discussione il diritto di Israele a difendersi, ma ciò non può giustificare la morte continua di chi non ha alcuna colpa. Leone XIV ha ribadito più volte il suo no alle punizioni collettive e alla rimozione di un popolo dalla propria terra. Senza una patria, un popolo non esiste più».

L’arcivescovo fa eco al cardinale Parolin, che nella sua intervista aveva parlato di “tragedia umanitaria senza precedenti” e di “un dolore che non conosce bandiere”. Israele ha letto quelle parole come un giudizio politico. La Santa Sede, invece, le considera un richiamo al cuore stesso della dottrina cristiana: la difesa della vita umana, di ogni vita. Sul piano diplomatico, l’episodio non sorprende. Negli ultimi due anni non sono mancati attriti tra Israele e il Vaticano. Già nel 2024, una dichiarazione di Parolin sulla “carneficina a Gaza” aveva suscitato proteste, poi ridimensionate con un chiarimento linguistico: in inglese, spiegò l’ambasciata, il termine “regrettable” andava inteso come “sfortunato”, non “deplorevole”.

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Oggi, però, la distanza si misura anche nel linguaggio. Leone XIV non pronuncia mai la parola “colpa”, ma insiste su un concetto semplice: «Non esistono vittime di serie A e vittime di serie B». Una frase che riassume il pensiero espresso anche dallo storico Carlo Felice Casula, promotore del Premio internazionale per la pace Achille Silvestrini, appena assegnato a padre Gabriel Romanelli e alle suore di Gaza: «La Santa Sede guarda alla realtà sul campo, non alla propaganda. Le vittime civili sono decine di migliaia e la Chiesa non può ignorare questa carneficina. Il patriarca Pierbattista Pizzaballa e i francescani della Custodia di Terra Santa rappresentano la prova vivente di un dialogo che resiste».

Casula aggiunge: «Il tentativo di Israele di negare ai cristiani il ruolo di costruttori di ponti in Terra Santa non può riuscire. Dal Concilio Vaticano II in poi, la Chiesa combatte ogni forma di antisemitismo e antigiudaismo. Per il Vaticano, i morti sono tutti uguali». Mentre sullo sfondo si discute del piano Trump per il futuro di Gaza e dei nuovi equilibri del Medio Oriente, la Santa Sede rilancia la sua vocazione universale: essere voce dei popoli, non delle alleanze. Leone XIV lo sa. E sa anche che le sue parole verranno analizzate da ogni cancelleria del mondo. Ma quando lascia Castel Gandolfo, con la mano che sfiora la croce pettorale, la sua risposta resta la stessa di sempre: «Il dialogo non è mai un rischio. L’odio, sì».

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