Israele lancia l’attacco contro l’Iran, raid sui siti nucleari: i rischi globali e le radici del conflitto
L’operazione, definita dal premier Benjamin Netanyahu come “solo l’inizio”, è stata annunciata come una risposta preventiva alla crescente minaccia rappresentata dal programma nucleare iraniano
L’attacco lanciato nella notte da Israele contro l’Iran segna un punto di svolta drammatico nel già fragile equilibrio mediorientale. Aerei israeliani hanno colpito obiettivi strategici in cinque città iraniane, tra cui l’impianto nucleare di Natanz e diversi
siti militari nei pressi di Teheran. L’operazione, definita dal premier Benjamin Netanyahu come “solo l’inizio”, è stata annunciata come una risposta preventiva alla crescente minaccia rappresentata dal programma nucleare iraniano. Le reazioni non si sono fatte attendere: la Guida Suprema iraniana, Ali Khamenei, ha promesso “una punizione dura”, mentre gli Stati Uniti si sono affrettati a dichiararsi “non coinvolti” attraverso il senatore repubblicano Marco Rubio.La crisi non nasce oggi. Israele considera l’Iran una minaccia esistenziale da almeno due decenni, in particolare da quando Teheran ha cominciato ad arricchire uranio a livelli vicini a quelli necessari per costruire un’arma atomica. Non è un caso che il sito di Natanz, cuore del programma nucleare iraniano, sia stato uno dei principali bersagli dell’attacco israeliano.
Ma il conflitto ha anche un’altra dimensione, quella ideologica e geopolitica. L’Iran è da anni uno degli sponsor principali del terrorismo internazionale, almeno secondo la classificazione dei principali organismi di intelligence occidentali. Teheran finanzia, arma e sostiene gruppi come Hezbollah in Libano, Hamas nella Striscia di Gaza, la Jihad Islamica Palestinese, e i ribelli Houthi in Yemen, tutti attori che hanno spesso preso di mira Israele direttamente o indirettamente. In particolare, Hamas ha ricevuto nel tempo assistenza logistica e militare dall’Iran, che ha usato il conflitto israelo-palestinese come leva per accrescere la propria influenza regionale.
L’attacco a Teheran non è un raid come tanti altri. Le esplosioni nella capitale iraniana, la morte di un comandante delle Guardie della Rivoluzione e il ferimento grave di Ali Shamkhani, consigliere chiave di Khamenei, rendono inevitabile una reazione di Teheran. Il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, ha parlato di un conflitto che potrebbe durare “giorni, forse settimane”.
Il rischio di una guerra su larga scala non è solo teorico. L’Iran ha già mostrato in passato la capacità di colpire obiettivi israeliani (e americani) anche a distanza, tramite droni e missili balistici. Le sue milizie alleate in Siria, Libano, Iraq e Yemen potrebbero aprire nuovi fronti di attacco contro Israele. Un’escalation potrebbe facilmente coinvolgere anche paesi terzi, soprattutto se uno degli obiettivi colpiti dovesse risultare essere un impianto nucleare attivo, con conseguenze ambientali e umanitarie incalcolabili.
Le parole di Marco Rubio (“Gli Usa non sono coinvolti”) sottolineano quanto sia delicato il ruolo americano in questa crisi. Washington è alleato storico di Israele, ma teme che un’escalation possa mandare in frantumi gli equilibri regionali e i tentativi – già traballanti – di normalizzazione tra Israele e i paesi arabi sunniti. L’Europa, dal canto suo, appare per ora paralizzata, incapace di giocare un ruolo diplomatico di rilievo. Il rischio maggiore è che l’Occidente, diviso e distratto, non riesca a contenere un conflitto che rischia di incendiare non solo il Medio Oriente ma di avere ripercussioni globali, soprattutto sul piano energetico.
Israele ha deciso di agire unilateralmente contro quella che considera una minaccia diretta e imminente. Ma colpendo l’Iran sul suo territorio, e addirittura nella sua capitale, ha scoperchiato un vaso di Pandora. L’Iran, con il suo ruolo di sponsor del terrorismo, è lungi dall’essere una vittima innocente. Tuttavia, il rischio oggi è che la rappresaglia iraniana inneschi un effetto domino incontrollabile. Serve una diplomazia forte, credibile e pronta a intervenire prima che la regione sprofondi in una guerra totale. Ma il tempo stringe. E, per ora, le bombe parlano più forte delle parole.