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18/08/2025 ore 07.16
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Israele non è Netanyahu e la piazza di Tel Aviv lo dimostra: 500mila chiedono la fine della guerra

Una folla sterminata chiede la liberazione degli ostaggi mentre dal mondo si levano voci unanimi di condanna per il massacro nella Striscia. Il Papa: «Situazione tragica e disumana». E la Danimarca chiede sanzioni

di Redazione Esteri
A woman holds a sign saying "Return them now" next to a banner with pictures of the hostages held captive by Hamas in Gaza during the demonstrations. A day of strike and demonstrations calling for the immediate release of all hostages and an end to the war. - Yael Guisky Abas / SOPA Images//SOPAIMAGES_3184s/Credit:Yael Guisky Abas / SOPA/SIPA/2508171652

Domenica, centinaia di migliaia di israeliani hanno marciato nel cuore di Tel Aviv per chiedere la fine della guerra a Gaza. Una folla sterminata, un grido fortissimo e collettivo: basta sangue, basta con questa follia.

Perché ormai questa guerra non è più in difesa di Israele, ma è solo distruzione e odio senza senso, una guerra voluta caparbiamente da un governo estremista che non rappresenta più il suo popolo, i suoi intellettuali, perfino buona parte dell’esercito.

Benjamin Netanyahu si ostina a presentarsi come voce unica di Israele. Ma le piazze dicono altro: Israele non è Netanyahu. Israele non è l’occupazione incessante e infinita di Gaza. Israele non è il massacro di civili in fila per un sacco di farina. Israele è quel popolo che domenica ha riempito le strade chiedendo la liberazione degli ostaggi, ma soprattutto giustizia e pace.
 

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Intanto a Gaza, la catastrofe umanitaria ha superato ogni limite. Per Medici senza frontiere «Israele ha superato ogni limite a Gaza. I civili vengono uccisi e mutilati. La popolazione è ridotta alla fame. Gli operatori sanitari non dispongono delle forniture necessarie per svolgere il proprio lavoro. Il mondo guarda in silenzio, mentre a Gaza continua a scorrere sangue. Non accettiamo questa distruzione sistematica delle vite e della dignità dei palestinesi. Dobbiamo tutti far sentire la nostra voce per fermare il genocidio in corso: Gaza sta morendo».

Secondo alcune fonti internazionali, a Gaza sono oltre 61 mila i morti, tra cui migliaia di bambini, donne, anziani. Secondo la rivista inglese The Lancet, il numero totale di palestinesi uccisi nella Striscia di Gaza arriva a 82.539.

Le immagini dei piccoli estratti senza vita dalle macerie, ridotti pelle e ossa dalla fame, hanno ormai il volto di un genocidio silenzioso, consumato sotto gli occhi di un mondo che protesta ma non interviene concretamente. La fame è diventata una spietata arma di guerra, i bombardamenti colpiscono scuole, ospedali, chiese e campi profughi. Nessuna giustificazione può coprire l’orrore di quello che sta accadendo.

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Intanto si fa forte e dura la voce del papa: «A Gaza situazione tragica e disumana», denunciando apertamente il massacro di innocenti e chiedendo un cessate il fuoco immediato. Le sue parole risuonano come un atto d’accusa morale non solo contro Netanyahu, ma contro l’intera comunità internazionale che ha lasciato degenerare la situazione fino a questo punto.

L’Europa, finalmente, rompe gli indugi: la Danimarca quale presidente di turno del Consiglio dell'Ue, con la sua premier Mette Frederiksen accusa apertamente Netanyahu, invocando sanzioni e condannando l’occupazione e la violenza sui civili, definiti come un atto folle e criminale. Bruxelles non può più limitarsi a “preoccupazioni” e “appelli”: la storia giudicherà duramente l’incapacità di reagire dell’Europa davanti a tanto orrore.

La verità è che questa guerra non ha più alcuna legittimità. Non difende Israele, lo isola. Non garantisce sicurezza, ma semina odio che durerà per generazioni. Netanyahu ha trasformato un conflitto in un crimine di massa, trascinando il suo paese in un vicolo cieco. Netanyahu per molti intellettuali, anche israeliani, è diventato il peggior nemico del paese.

Domenica Tel Aviv ha parlato, anzi ha urlato. Il popolo ha detto con forza: ora basta! La domanda ora è se il mondo avrà il coraggio e la forza di ascoltarlo. E di reagire.