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20/07/2025 ore 07.01
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La caccia all’invisibile: la Rai racconta la cattura di Matteo Messina Denaro in una serie evento firmata Michele Soavi

Tra inseguimenti in stile Mad Max e pizzini lasciati sbadatamente, la miniserie mette in scena l’operazione che ha portato alla cattura del superboss. Ma è anche un racconto civile, duro, dove il male si insinua tra le crepe della Sicilia. E il bene ha nomi in codice, droni e mani che scavano pareti

di Luca Arnaù

Matteo Messina Denaro è stato per trent’anni il volto assente del male. Un’ombra, una suggestione, una leggenda criminale capace di fondersi con il paesaggio e svanire ogni volta. Oggi, quella storia diventa fiction. Ma non una fiction qualsiasi: L’invisibile, in due episodi per Rai1, diretta da Michele Soavi e prodotta da Pietro Valsecchi, è un’opera tesa e asciutta, dove la realtà fa a pugni con la drammaturgia e l’epica della giustizia si misura con la mitologia del male.

Messina Denaro, storia dell’ultimo stragista e custode di segreti inconfessabili che sperava di «morire da uomo giusto»

«È il male che entra in scena», spiega Soavi, sul set della scena più emblematica: l’ennesimo mancato arresto, Messina Denaro che fiuta la trappola, fugge su un furgone, solleva polvere, viene avvistato dall’elicottero ma sparisce. «Mi ricorda Duel di Spielberg. Siamo oltre il realismo. Il super latitante è ancora il diavolo che graffia la terra».

E proprio con questo diavolo si confrontano i protagonisti della storia vera: carabinieri del Ros con volti comuni e nomi in codice. C’è il colonnello Lucio Arcidiacono (interpretato da Lino Guanciale), che ha guidato l’operazione del 16 gennaio 2023. Un giorno storico, a trent’anni esatti dall’arresto di Totò Riina. Il boss viene trovato come un paziente qualunque in una clinica di Palermo, sotto falso nome, mentre si cura per un tumore. A meno di un chilometro dalla Direzione Distrettuale Antimafia.

Guanciale racconta: «Mi ha colpito la lucidità del colonnello, la calma. Ho ascoltato le registrazioni radio dell’operazione: adrenalina altissima, ma autocontrollo assoluto. Basta un errore e tutto salta». A dare il volto al boss è Ninni Bruschetta: «Messina Denaro è una presenza, non un personaggio. Si intravede, si sfuoca, si nasconde. È invisibile, appunto». Invisibili dovevano essere anche gli uomini del Ros: Paolo Briguglia è il procuratore Paolo Guido, Levante interpreta la moglie del colonnello, mentre nella squadra dei carabinieri troviamo Leo Gassmann (esperto di antenne), Noemi Brando (pilota spericolata), Giacomo Stallone (specialista in droni) e Massimo De Lorenzo, il “ragioniere”.

Ma c’è spazio anche per i personaggi che popolano l’orbita del boss: Roberta Procida è Maria Mesi, la storica compagna; Simona Malato è Rosalia Messina Denaro, sorella e custode dei segreti. E poi Andrea Bonafede, il prestanome, e i celebri pizzini. Uno in particolare, lasciato per errore, porta sulla pista dei farmaci e quindi alla clinica. Colpi di scena veri e romanzati, tutti incastonati in una Sicilia arsa, dove il mare è solo cornice. «È una terra bruciata. Il sole, in questa storia, è un elemento di tensione», dice Soavi.

Tra le location, la casa della sorella dove furono trovati 3 milioni di euro dietro una parete, e quel dvd de Il Padrino, rinvenuto in un rifugio del boss: «Non possiamo mostrarlo per problemi di diritti», spiega il regista, «ma era lì, come una reliquia». A chi chiede se si sia ispirato a Iddu, film grottesco sul boss con Elio Germano, Soavi risponde netto: «Il nostro è un altro tono. Raccontiamo un momento di Storia del nostro Paese. Alcune immagini – come l’arresto – sono vere».

Dietro le quinte, Pietro Valsecchi supervisiona ogni dettaglio: «All’inizio avevo un altro team. Ma la visione non mi apparteneva. Ho cambiato sceneggiatori, riscritto tutto, ho lavorato giorno e notte. Soavi era la scelta giusta. Dopo anni è tornata la fame degli esordi». Il produttore racconta anche l’urgenza del progetto: «Non è solo una storia di mafia, ma di Stato. E raccontarla è un atto di responsabilità civile».

Alla domanda più scomoda – si è fatto prendere per il tumore o è stato davvero catturato? – Soavi risponde da padre: «Bella domanda. Secondo me l’hanno beccato. Ma grazie alla malattia». Poi si apre: «Ho fatto questo film per i miei figli. Adriano, il grande, è cresciuto come volontario con il Capitano Ultimo. Francesco, il piccolo, è carabiniere al primo anno. Anche io, in fondo, sono un carabiniere dentro».

L’invisibile andrà in onda su Rai1, e sarà molto più di una fiction. Sarà un ritorno al racconto civile, ma con ritmo da thriller. Dove il bene indossa giubbotti mimetici e lavora al buio. E il male si illude di essere eterno.