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25/07/2025 ore 18.46
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La Francia dice sì: primo Paese del G7 a riconoscere lo Stato di Palestina. Ma il mondo continua a restare diviso

Da settembre Parigi riconoscerà formalmente la Palestina come Stato sovrano. Tre quarti del pianeta l’hanno già fatto. Ma l’adesione all’ONU resta bloccata dal veto degli Stati Uniti

di Luca Arnaù

La Francia si prepara a riconoscere lo Stato di Palestina. Da settembre, Parigi formalizzerà il sostegno a una Palestina libera e indipendente. Emmanuel Macron ha annunciato la svolta in modo netto: “È tempo di agire, non possiamo più attendere”. Una mossa che rompe l’unità del G7 e fa della Francia il primo dei grandi a compiere il passo. Ma è soprattutto un segnale di frattura nel blocco europeo, dove i governi hanno finora scelto con cautela le parole sul dossier israelo-palestinese.

Con la scelta francese, diventano 148 su 193 i Paesi membri delle Nazioni Unite che hanno riconosciuto ufficialmente la Palestina. Una larghissima maggioranza: oltre tre quarti del mondo. Eppure, per l’Onu, la Palestina non è uno Stato. È solo uno “Stato osservatore non membro”, senza diritto di voto e senza pieno accesso alle istituzioni internazionali. Il motivo è noto e immutabile: serve il via libera del Consiglio di Sicurezza, dove gli Stati Uniti esercitano da anni il loro potere di veto per bloccare ogni risoluzione in questo senso.

Il riconoscimento francese arriva in scia a una lunga stagione di nuovi sostegni. Nel 2024, hanno detto sì alla Palestina la Giamaica, Trinidad e Tobago, Barbados, Bahamas, Armenia, Messico, e tre membri dell’Unione europea: Spagna, Irlanda e Slovenia. Quest’ultima, con la Francia, chiude simbolicamente un cerchio: da nord a sud, l’Europa si spacca su un tema diventato centrale dopo l’offensiva israeliana a Gaza seguita agli attacchi del 7 ottobre 2023.

Il presidente spagnolo Pedro Sánchez ha parlato di “obbligo morale”. L’irlandese Simon Harris di “giustizia per un popolo”. E ora Macron ha deciso di rompere l’equilibrio.
Il primo a riconoscere la Palestina fu l’Algeria, il 15 novembre 1988, poche ore dopo la proclamazione dell’indipendenza da parte dell’OLP. Poi seguirono 82 Paesi. Tra il 2009 e il 2011 si unirono Brasile, Argentina, Bolivia, Ecuador, Cile, Perù, Uruguay e Venezuela. Nel 2013 arrivò anche il Vaticano. Nel 2014 fu la volta della Svezia, primo Paese europeo ad agire formalmente. E il 21 marzo 2025, anche il Messico ha ufficializzato la sua decisione. La mappa diplomatica, insomma, si è allargata senza sosta.

Ma l’adesione all’ONU resta congelata. Nonostante l’Assemblea generale, nel 2012, abbia votato per concedere alla Palestina lo status di Stato osservatore, l’ingresso come membro effettivo è legato al Consiglio di Sicurezza. E lì, l’opposizione americana è costante. Il presidente Joe Biden ha ribadito la preferenza per una soluzione negoziata a due Stati, ma considera “unilaterale” il riconoscimento senza accordo con Israele. La stessa posizione è condivisa da Italia, Germania, Regno Unito e Canada, che chiedono alla Palestina di riconoscere a sua volta Israele come Stato ebraico.

Anche il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ha parlato chiaramente: “Il riconoscimento dello Stato palestinese deve avvenire contestualmente a quello dello Stato di Israele da parte palestinese”. Una posizione che riflette la linea cauta dell’Europa centrale, più vicina alle posizioni statunitensi e israeliane, e che contrasta con quella degli Stati dell’Est, come Polonia, Romania e Bulgaria, che avevano già riconosciuto la Palestina prima di entrare nell’Unione.

Intanto, il popolo palestinese continua a non avere uno Stato. Nonostante il passaporto, le ambasciate, i rappresentanti ufficiali, la Palestina non controlla né i confini né lo spazio aereo. La Striscia di Gaza è sotto assedio, la Cisgiordania spezzettata da insediamenti illegali. L’Autorità Nazionale Palestinese è sempre più debole, Hamas è considerata un’organizzazione terroristica da molte cancellerie, e il processo
di pace è bloccato da anni.

Il riconoscimento, in questo contesto, ha valore più simbolico che operativo. Serve a dichiarare un principio, ma non produce effetti concreti. E così, lo Stato che per 148 Paesi esiste, per il diritto internazionale resta in bilico. Esiste e non esiste. È un’entità politica senza piena sovranità, un caso diplomatico unico al mondo, congelato da equilibri che sembrano destinati a non cambiare.