La legge elettorale diventa il terreno dello scontro finale: il governo accelera sul proporzionale mentre l’opposizione denuncia “trappole per il 2027”
La discussione parte prima ancora della chiusura dello spoglio. Il centrodestra apre il dossier sulle regole del voto futuro. Pd e alleati temono una manovra preventiva per neutralizzare il campo largo. La maggioranza rivendica l’obiettivo della stabilità
Non è servito attendere la fine delle operazioni di scrutinio perché nel dibattito politico si aprisse un nuovo fronte. Mentre il meccanismo lento e rituale del conteggio delle schede procede nelle prefetture, nel governo è già stata avviata la discussione sulla riforma della legge elettorale. Un’accelerazione inattesa nei tempi, non nei contenuti, e che viene letta dalle opposizioni come un segnale chiarissimo: la posta in gioco non è il risultato di una singola tornata regionale ma l’equilibrio dei prossimi due anni.
La novità è che stavolta la riforma viene considerata dal centrodestra una priorità strutturale e non un capitolo da rinviare a fine legislatura. Secondo diverse fonti della maggioranza, la premier avrebbe manifestato la volontà di arrivare a una proposta compiuta entro la prima metà del 2026. L’obiettivo dichiarato è uno: ridisegnare un sistema che garantisca stabilità nel futuro Parlamento. Dietro le quinte, le motivazioni appaiono più politiche e più immediate.
L’opposizione, infatti, interpreta la mossa come una reazione ai risultati delle regionali: una prova generale in cui Pd, M5s, Alleanza Verdi e Sinistra e Italia viva si sono presentati insieme in diversi territori dimostrando — numeri alla mano — che un’alternativa competitiva al governo è già possibile. Per il fronte progressista, quella unione non è un sogno teorico ma una potenziale realtà elettorale. Da qui il timore che il centrodestra stia preparando un cambio delle regole per ridurre il peso dei collegi uninominali, oggi strategici per il campo largo.
In effetti, nel Partito democratico circola da settimane un’analisi riservata: se la proiezione degli ultimi risultati regionali venisse applicata agli uninominali del 2022, il quadro sarebbe ribaltato soprattutto al Sud, dove il centrosinistra si è imposto con margini rilevanti. Campania, Puglia, Sardegna e Lazio disegnano uno scenario completamente diverso da quello che consegnò alla coalizione di Meloni una maggioranza ampia in Parlamento.
Da qui nasce la preoccupazione di Matteo Renzi, primo a lanciare un allarme frontale: «Con l’attuale legge Meloni non tornerebbe a Palazzo Chigi», ha dichiarato parlando apertamente di una riforma pensata per indebolire il campo largo. Con lui anche pezzi significativi del Pd, convinti che l’indebolimento dei collegi favorirebbe la frammentazione e toglierebbe alla coalizione progressista il principale vantaggio competitivo raccolto negli ultimi mesi.
Sul fronte opposto, la posizione del governo è stata riassunta dal responsabile organizzazione di Fratelli d’Italia Giovanni Donzelli: «Non abbiamo dogmi. L’obiettivo è la governabilità», spiegando che la stabilità istituzionale rappresenta la priorità per il futuro. Dietro questa dichiarazione si intravede l’ipotesi su cui la maggioranza sta lavorando con maggiore convinzione: abolire i collegi uninominali, tornare a un sistema proporzionale, introdurre un premio di maggioranza alla coalizione che supera il 40%.
L’idea divide anche la coalizione che sostiene il governo: la Lega ha più di un dubbio, temendo un ridimensionamento del suo radicamento territoriale, mentre Forza Italia non nasconde alcune perplessità sull’indicazione obbligatoria del candidato premier sulla scheda. Tuttavia, nelle ultime ore, lo scenario del proporzionale con premio è diventato il più concreto sul tavolo della trattativa interna.
Una riforma di questo tipo si legherebbe al percorso, al momento in stallo, del premierato, che difficilmente vedrà la luce prima della prossima legislatura e, in ogni caso, attraverso un referendum popolare. Il cambio di sistema per il 2027, invece, sarebbe immediato. Ed è proprio questa prospettiva a preoccupare le opposizioni: un provvedimento approvato in Parlamento, dunque valido già per le prossime elezioni politiche.
Nel campo largo, però, le posizioni non sono allineate. Se Pd e Italia viva sono contrari al progetto, dal Movimento 5 Stelle arriva un segnale differente: «Noi siamo sempre stati contrari alla legge attuale. Siamo per il proporzionale», dice il capogruppo Ricciardi. Un’affermazione che apre una faglia evidente nel fronte progressista, dando respiro alla maggioranza che insiste nel presentare la riforma come un atto istituzionale e non come un’operazione di parte.
Intanto, nelle cancellerie della politica romana lo scenario comincia a prendere forma: una legislatura che entra nel suo tratto decisivo, un’opposizione che fiuta la possibilità di ribaltare gli equilibri e un governo che si muove per stabilizzare il prima possibile lo schema del voto. Uno scontro ancora solo verbale, che nelle prossime settimane rischia di diventare parlamentare. E poi, inevitabilmente, politico.
La legge elettorale è tornata al centro, come sempre alla vigilia di un passaggio decisivo. E la sensazione, condivisa da entrambi i fronti, è che la battaglia sia appena iniziata.