La Rai resta sola: nessuno sfida Viale Mazzini per Sanremo
Scaduto il bando del Comune per il Festival 2026-2028: si è fatta avanti solo la tv pubblica. E ora anche il pluralismo se ne va in vacanza all’Ariston
Non c’era neanche da scommetterci: alla fine l’unica a presentarsi all’appello è stata la Rai. Nessun altro soggetto, nessuna tv commerciale, nessuna multinazionale, nessuna piattaforma streaming ha osato sfidare la macchina di Viale Mazzini per prendersi il Festival di Sanremo. Il bando emesso dal Comune ligure per l’affidamento della kermesse musicale più famosa del Paese – valido per le edizioni 2026, 2027 e 2028, con eventuale proroga – ha visto una sola busta sul tavolo: quella del partner storico.
A dire il vero, c’era poco da sorprendersi. Il bando, partorito dopo una sentenza del Tar che aveva dichiarato illegittimo l’ennesimo affidamento diretto alla Rai, imponeva paletti ferrei: almeno 6,5 milioni al Comune, l’1% di tutti gli incassi da pubblicità e merchandising, la trasmissione di eventi satellite come Sanremoinfiore e almeno due produzioni estive da concordare. Troppo per chi non avesse già uno studio aperto dentro l’Ariston.
Mediaset, Discovery e le altre, insomma, si sono tenute alla larga. Forse perché non ci credevano. O più probabilmente perché, sotto sotto, sapevano già che la partita era truccata: l’unica squadra con la maglia indossata era quella Rai. E se non altro, almeno stavolta, ha vinto senza bisogno dei rigori.
Il sindaco Alessandro Mager ha commentato con soddisfazione l’esito della procedura. D’altronde il Comune, che da anni si fa garante e scenografo dell’evento, aveva il coltello dalla parte del manico: ha dettato condizioni economiche ed editoriali precise, nella speranza di trasformare il Festival in un volano anche per altre attività.
Ma la verità è che oggi più che mai Sanremo resta ostaggio della Rai. Un
abbraccio talmente saldo che nessuno si sogna nemmeno più di spezzarlo.
Senza concorrenti, si aprirà adesso la fase di negoziazione. Si parlerà di numeri, di format, di contenuti. Si firmeranno carte, si aggiorneranno clausole. Ma tutto avverrà in famiglia.
Perché in fondo la Rai è sempre stata il Festival, e viceversa. Nessun altro network ha mai potuto vantare quella continuità, quella familiarità visiva e affettiva con il pubblico, quella capacità di trasformare per una settimana all’anno una cittadina ligure in un’epopea nazionale, dove si canta, si litiga, si piange, si twitta.
Il guaio è che questa comfort zone rischia di diventare una gabbia. Il monopolio della Rai su Sanremo – da sempre difeso con le unghie da chi vi si gioca budget, carriera e quote di visibilità – è diventato talmente blindato da scoraggiare qualsiasi alternativa. Neanche una Amazon, una Netflix, una Sky si è fatta avanti per immaginare qualcosa di diverso. Nemmeno per rompere le scatole.
E mentre il Festival si blinda, il servizio pubblico si esalta. Ma chi paga davvero per tutto questo – in senso fiscale e culturale – è il pluralismo. Perché se la televisione generalista è già abbastanza ingessata di suo, un Sanremo così blindato rischia di diventare una reliquia: bellissima, scintillante, ma scollegata da ciò che si muove fuori.
Alla fine, insomma, vince la Rai. E nessuno glielo contesta. Ma resta l’impressione che nessuno abbia davvero provato a batterla. E quando il gioco è senza sfidanti, più che una gara è una processione. Con tanto di orchestre, fiori, e standing ovation a comando.