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22/12/2025 ore 06.45
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L’attacco di un drone ucraino nel Mediterraneo cambia le regole: rotte commerciali sempre più vulnerabili

Secondo gli analisti si apre una fase nuova del conflitto: sistemi navali a basso costo possono fermare colossi energetici, facendo crescere spese di sicurezza, trasporti e assicurazioni anche per l’Europa

di Redazione Esteri

L’attacco con drone attribuito al Servizio di sicurezza ucraino contro una petroliera russa nel Mediterraneo non è un episodio isolato. È, come scrive l’analista e giornalista economico Marco Pugliese, «un cambio di fase». Colpire una nave commerciale in acque neutrali, a oltre 2.000 chilometri dal fronte ucraino, significa infatti «portare la guerra sulle rotte energetiche globali». E quando le rotte diventano un obiettivo militare, il conto non resta confinato alla sfera bellica: diventa economico e sociale.

Il modello di drone utilizzato non è stato confermato ufficialmente, ma secondo gli analisti le ipotesi sono limitate. Si tratterebbe di un drone navale di nuova generazione, come il Magura V5 o il Sea Baby, sistemi già impiegati dall’Ucraina nel Mar Nero. Mezzi relativamente economici — con costi stimati tra 20.000 e 250.000 euro — dotati di profilo radar ridotto, guida satellitare e cariche esplosive da 200–300 chilogrammi. «Non servono ad affondare», osserva Pugliese, «basta colpire timoni o sale macchine per fermare una nave da 50–100 milioni di dollari». Non è escluso nemmeno l’uso di un drone aereo a lungo raggio o di un attacco combinato aria-mare, ipotesi che renderebbe ancora più complessa la difesa.

Il messaggio strategico è chiaro: esiste una capacità di proiezione fuori area. E il Mediterraneo, cuore dei traffici globali, diventa improvvisamente più fragile. Da questo mare passa circa il 20% del commercio marittimo mondiale e oltre il 30% del traffico globale di petrolio via nave. Anche una petroliera “vuota” può contenere fino a 1.000 tonnellate di residui e carburanti: un incidente grave comporterebbe bonifiche da centinaia di milioni di euro e danni ambientali difficilmente reversibili.

Ma l’effetto immediato non è solo ambientale. È economico. «Quando le rotte diventano bersagli», scrive ancora Pugliese, «il rischio fa salire le assicurazioni». Nel Mar Rosso, dopo la sequenza di attacchi degli ultimi mesi, i premi assicurativi sono aumentati fino al 300% su alcune tratte. Uno scenario che ora potrebbe estendersi anche al Mediterraneo, con ricadute dirette sui costi di trasporto e sull’energia.

Per l’Italia l’impatto è tutt’altro che marginale. Il 90% dell’interscambio commerciale nazionale viaggia via mare. Proteggere le rotte significa intensificare pattugliamenti e investimenti tecnologici: una missione navale può costare tra 1 e 2 milioni di euro al giorno, mentre radar anti-drone, sistemi di guerra elettronica e difese avanzate richiedono stanziamenti da centinaia di milioni. «Questi costi non restano nei bilanci della Difesa», avverte l’analista, «ricadono sui cittadini, sulle bollette energetiche e sui prodotti importati». Anche un aumento dell’1% dei costi logistici può valere decine di milioni di euro l’anno.

Il rischio maggiore, secondo gli osservatori, è la normalizzazione di questo tipo di azioni. «Se colpire petroliere diventa accettabile», conclude Pugliese, «il Mediterraneo si militarizza stabilmente». E quando un mare che sostiene l’economia europea si trasforma in un fronte operativo, la guerra smette di essere lontana e diventa parte del costo della vita quotidiana.

Pagare oggi in prevenzione e sicurezza è oneroso. Pagare domani, come spesso accade, potrebbe costare molto di più.